Davide e Golia: la battaglia di Cristo e della Chiesa contro satana

GOLIA, SATANA E IL COMBATTIMENTO DEL RE D’AMORE.

I Filistei profittarono forse del malanno e dell’agitazione diabolica di Saul, per aggredire nuovamente gli Ebrei, vedendoli senza un vero capo che avesse potuto radunarli e difenderli. Essi, perciò, mossero contro Israele accampandosi tra Soco e Azeca, nella tribù di Giuda, sul versante occidentale della valle del terebinto. Saul non poté non rispondere alla minaccia e, radunato il suo esercito, si accampò sul versante orientale della valle. Non fu a caso che questo combattimento che doveva esprimere e figurare la vittoria del Redentore su satana, si svolgesse in una valle. Una valle, in realtà, è la terra, una valle che separa e divide due combattenti: il male e il bene, satana e gli uomini, il regno delle tenebre e il regno della luce. Da una parte i demoni, spavaldi e fieri per la debolezza umana, alla quale oppongono come avversario gigante la materia, figurata dalla massiccia persona e dall’armamento di Golia, e dall’altra gli uomini, scoraggiati dalla forza tracotante del vile principe delle tenebre.

Ecco Golia: è un bastardo, cioè è figlio di padre pagano e di madre giudea[1], sembra la personificazione della forza e della libertà, ma è l’espressione della schiavitù della materia. Alto sei cubiti e un palmo, cioè esattamente metri 3 e 325 millimetri, si eleva sul terreno come colonna eretta verso il cielo, e invece grava sulla terra per il suo stesso peso. Ha in testa un pesante elmo di rame: non è la forza del capo, ma è come la morsa che lo stringe; ha una corazza a scaglie o, come dice il Testo originale, a maglie, una corazza che gli attanaglia il cuore sotto una mole di cinquemila sicli, ossia di circa 82 chilogrammi. Ha gambali di rame e un pesante scudo che come giogo gli sta sulle spalle; sembra difeso, sembra ardito nel passo, ma ha le gambe inceppate, gli omeri aggravati.

Non c’è una sola espressione di spiritualità in quest’uomo, inceppato nelle mani da una lancia che pesa nella sua sola parte di ferro seicento sicli, cioè 10 chili, e che ha l’asta come la pertica dei tessitori. È il monumento vivente della materia, il monumento di satana, il monumento del peccato: schiavitù nella mente, tenaglia pesante al cuore, impaccio nelle attività delle mani, ceppo ai piedi! Ha l’apparenza del gigantesco, ma è una potenza così fragile, che un sasso, un solo sasso, la rovescia al suolo.

Per quaranta giorni Golia schernì gli Ebrei, come per quaranta secoli satana schernì l’umanità caduta; Golia ricercò chi gli stesse di fronte per combattere, perché sapeva che nessuno poteva stargli alla pari, come satana sapeva bene che la forza umana non era sufficiente ad abbatterlo. Tremavano di paura gli Ebrei ogni volta che vedevano comparire quel mostruoso gigante, tremava d’angoscia l’umanità sotto le vessazioni diaboliche.

Ma il Signore aveva già unto e preparato colui che doveva sconfiggere Golia, lo aveva preparato in silenzio, come Egli suol fare in tutte le sue opere, e lo mandava senza che il gigante sospettasse neppure quale avversario gli doveva stare di fronte. Così, secondo l’opinione dei Padri, satana ignorò completamente il mistero dell’Incarnazione, e non capì che l’umile Fanciullo di Betlemme era Colui che doveva abbattere il suo effimero potere.

* * *

L’ARMATURA DI DAVIDE E L’EPICA LOTTA CON IL GIGANTE. IL REDENTORE VINCITORE DELLA MATERIA.


Davide fu condotto innanzi a Saul, perché furono riferite al re le coraggiose parole che aveva pronunziato. Dinanzi a colui che rappresentava il capo della nazione, egli sentì un coraggio anche più grande; quel re abbattuto dall’affanno gli faceva compassione; aveva imparato ad amarlo quando con l’arpa, lo aveva sollevato dal malanno, e ne era stato riamato con tenerezza. Lo rivedeva dopo alcuni anni, sotto l’incubo di un grave pericolo; se al suo coraggio fosse mancato uno stimolo, quella scena di pietà era sufficiente a suscitarglielo. Perciò è profondamente psicologico che egli, comparso innanzi al re, con delicatezza per non mancargli di riguardo, disse con frase generale: Non venga meno il cuore di alcuno a causa di lui; io tuo servo andrò, e combatterò contro quel Filisteo.

Saul non si ricordava più con precisione di Davide; l’aveva conosciuto in quell’età nella quale lo sviluppo produce nella fisionomia dei grandi mutamenti, e Davide non era più quello di prima. D’altra parte, la malattia, la preoccupazione, le ansietà, e la stessa agitazione dello spirito maligno gli avevano debilitato la memoria; è evidente dal contesto. Egli, perciò, pur accogliendo con simpatia e con una certa fiducia quella proposta, gli fece riflettere che era troppo giovane e inesperto in cose di guerra per misurarsi con un guerriero adusato alle armi fin dalla giovinezza. Davide rispose al re con un argomento di fatto molto stringente e con un impeto di fiducia in Dio solo: egli, pascolando le greggi, era venuto a tenzone con i leoni e gli orsi, e li aveva uccisi. Nella sua ammirabile Provvidenza, Dio lo aveva esercitato al coraggio nel deserto, e lo aveva esercitato alla fiducia in Lui solo. Aveva combattuto contro i leoni e gli orsi, e che cosa rappresentava quel Filisteo di fronte a due belve così forti e feroci? Dio, dunque, che lo aveva protetto contro gli animali, lo avrebbe anche protetto contro un uomo incirconciso, equiparato alle belve per la sua forza fisica.

Saul non seppe resistere ad un impeto sì generoso, e senz’altro gli diede il permesso richiesto, dicendo: Va’, il Signore sia con te.

Ma prima che andasse, lo volle armare; gli pose in capo un elmo di rame, al petto una corazza, e Davide stesso, cintosi la spada, cominciò a provare se riusciva a camminare, armato così pesantemente, ma si accorse che rimaneva inceppato. La scena è così viva nella sua semplicità, che quasi sembra di vedere l’incedere di questo giovane, a cui le armi impedivano il passo. Allora si svestì nuovamente di quell’armatura, riprese il suo bastone da pastore, si scelse dal torrente cinque pietre ben pulite, le mise nella bisaccia, prese la fionda, e avanzò contro Golia.

Il momento era solenne: da ambo le parti, tanto da parte dei Filistei che degli Ebrei, il respiro era quasi trattenuto per l’emozione. Si sentiva rimbombare per la valle il pesante e cadenzato passo del gigante. Egli si aspettava di vedersi di fronte il più terribile ebreo, involto tutto nel ferro, e per statura e fortezza valevole a fronteggiarlo, quando vide un garzone, cui sorrideva nell’aspetto un raggio soave di giovinezza, dalle chiome negligentemente leggiadre, che gli si scuotevano allo scherzare del vento e fiammeggiavano al sole. Nel portamento aveva più la soavità di un pastore che la fierezza di un guerriero; nelle mani non aveva la lancia, ma un bastone e una fionda; sul petto non aveva la corazza, ma gli traspariva dal contegno un cuore ben saldo e forte. Golia arse d’ira, e si piantò qual rupe, non più degnando avanzare e, ruggendo in tuono spaventoso, lo maledisse per i suoi dèi, e lo invitò a farsi avanti, promettendogli di dare la sua carne in pascolo agli uccelli rapaci e alle fiere. Golia si offese sopratutto per quel bastone che Davide aveva nelle mani, e per il quale egli si sentiva quasi equiparato ad un cane.

Erano di fronte la materia e lo spirito: un uomo coperto di rame che malediceva e ringhiava, e un uomo libero e leggiadro che invocava il Nome di Dio; un uomo che confidava nella forza brutale, nella lancia e nella spada, e un giovane che confidava in Dio, poiché sempre a Lui apparteneva la guerra, e a Lui la vittoria in quel singolare combattimento. Davide rispose con fermezza a Golia che lo avrebbe superato in Nome di Dio e avrebbe dato i cadaveri dei Filistei agli uccelli e alle fiere, perché tutta la terra avesse saputo che vi era un Dio in Israele, e che il Signore non salva con la spada o con la lancia.

Golia credé di avere avuto un insulto che egli non poteva più sopportare; scese giù per la valle e si piantò fiero, con l’asta in resta; pallidi e taciturni gli Ebrei seguivano con terrore quelle mosse superbe, e quasi non osavano guardare neppure il loro inerme garzone. Davide, agile e coraggioso, incoccò un sasso nel reticolato della sua fionda, e avanzò, invocando Dio a drizzare al segno quel colpo: roteò la sua fionda e con energia grande, tendendo tutti i suoi muscoli, lasciò partire il colpo. Un fischio, un rimbombo, uno schianto, un grido, e Golia cadde riverso per non rialzarsi mai più; l’acuminato sasso si era conficcato fra le pieghe del suo elmo e gli era rimasto piantato nella superba fronte. I due campi rimasero ancora un momento in silenzio, poiché l’avvenimento era ugualmente incredibile da ambo le parti. Davide d’un balzo fu sul gigante, gli tolse la spada, gli recise il capo e lo innalzò sulla lancia. Un grido di terrore si levò dal campo filisteo, un grido di gioia dal campo israelita; come un sol uomo si alzarono gli Ebrei, e inseguirono il nemico fino ad Ekron, sterminandone una gran parte.

Ecco una viva immagine del combattimento del Redentore contro satana: Gesù Cristo, invece di armarsi, si spogliò di tutto, fino alla nudità, e andò incontro al demonio con il legno della croce. Golia si adirò che Davide gli venisse incontro con il bastone, e satana si adira, vedendosi sconfitto dalla croce, il vile strumento di supplizio con cui Gesù lo vinse. Il Redentore, pietra angolare, lo percosse in fronte, umiliandone l’orgoglio, e gli recise il capo, togliendogli il tenebroso regno che s’era formato. Egli fondò la sua Chiesa sulla roccia del Papato, e con quella pietra continuamente abbatte il dominio di satana.

Davide prese cinque limpidissime pietre nel torrente e con una sola abbatté il mostro; nello stesso modo, Gesù Cristo fu segnato, come dicono i Padri, con cinque piaghe, ma con un sol colpo di potenza e d’obbediente amore abbatté il dominio di satana. Il Regno del Redentore, la Chiesa Cattolica, con il suo pastorale ministero, si oppone al regno della materia, e vince non con la potenza delle armi ma nel Nome di Dio, vince con le armi dello spirito, colpisce la fronte, cioè l’intelligenza con l’evidenza della verità, come con il colpo più decisivo e potente.


Dopo la vittoria, Davide fu introdotto alla presenza di Saul da Abner, e comparve con in mano la testa del Filisteo. Saul avrebbe dovuto congratularsi con lui, ed invece non gli domandò altro che questo: Di quale famiglia, sei tu, o giovane? Davide gli rispose che era figlio di Iesse il Betlemmita. Sembra strana una chiusa così fredda ad un episodio così epico e glorioso; sembra strano che Saul si preoccupasse solo di sapere le origini del vincitore. Psicologicamente Saul, ambizioso com’era, rimase pensoso a quella vittoria, perché capì il prestigio che essa dava a quel giovane; già gli sorgeva nell’anima l’invidia. Il Testo, quindi, riproduce meravigliosamente, con questa sola circostanza, l’ambiente di freddezza nel quale Davide fu accolto.

Misticamente e tipicamente questa circostanza ha un grande valore; il profeta, infatti, considerando la divinità del Verbo Incarnato, esclamava: Chi potrà narrare la sua genealogia? Ora, quando Gesù Cristo andò al combattimento, Pilato gli domandò quale fosse la sua origine: Unde es tu? sembrandogli un essere misterioso, e la morte, vinta da Lui nel sepolcro (Saul), gli domandò stupita lo stesso. Dopo la vittoria su satana, Gesù Cristo si affermò solennemente come vero Dio e come vero uomo; come vero Dio per la sua vittoria, come vero uomo per il suo sacrificio; logicamente quindi la figura del suo trionfo si chiude con una doppia interrogazione sulla sua origine; si poteva veramente domandare al Redentore trionfante: Unde es tu? Da dove tu vieni? Egli aveva la fulgente aureola divina nei rossi bagliori del Sangue, ma la sua Persona era divina, ed Egli poteva dire di appartenere alla famiglia di Iesse, all’infinitamente Esistente e all’infinito Dono, poiché era la seconda persona della Santissima Trinità.

Si può dire che l’umanità redenta, che avrebbe dovuto rispondere al Vincitore della morte con un applauso d’amore, rispose con una sterile interrogazione, e tanta parte di essa, in realtà, si è perduta in inutili discussioni, quando avrebbe dovuto seguire il Redentore e vivere della sua vita.


* * *

PER LA NOSTRA VITA SPIRITUALE

Anche noi, nella nostra lotta spirituale, dobbiamo affrontare satana, che appare gigante sulla valle del nostro pellegrinaggio terreno. Come i Filistei, egli si accampa tra Soco, il tabernacolo, e Azeca, la fortezza delle mura, poiché insidia l’anima che è tabernacolo vivo di Dio, e la Chiesa, elevata come massiccia muraglia contro il tenebroso regno dell’Inferno. Il mondo è diviso in due armate che stanno di fronte, l’armata del male e quella del bene, il mondo e Dio, i figli della luce e i figli delle tenebre. Satana viene contro a noi, carico di materialità come Golia, e tenta di opprimerci con il peso della carne. Per vincerlo, dobbiamo spogliarci di tutto quello che inceppa i passi del nostro spirito; dobbiamo armarci della croce e della fede, come Davide si armò del bastone per sorreggersi e dei sassi per difendersi.

Davide andò al campo della lotta con il pane, e noi dobbiamo andare alla lotta contro il demonio con il Pane di vita. Davide si levò di buon mattino, affidò il suo gregge a un guardiano, ed andò per obbedienza sul campo. Siamo vigilanti e, a somiglianza di Gesù Cristo che obbedendo al Padre fino alla morte, vinse; obbediamo pure noi, distacchiamoci da tutto, e seguiamo la volontà di Dio.

Saul aveva promesso al vincitore di Golia grandi ricchezze, la propria figlia, e l’esenzione dal tributo. Gesù Cristo ci meritò, con il suo trionfo, le grandi ricchezze della grazia, ci donò come Madre la più bella figlia di Dio, Maria Santissima, e ci sottrasse al tributo di satana e delle passioni. Il premio riservato a chi vince satana, è la pienezza della grazia, le nozze con il Re d’Amore, e la libertà dei figli di Dio. Davide, nel suo glorioso cammino, incontrò l’ostacolo del fratello suo, Eliab, che lo disprezzò. Noi non ci dobbiamo illudere, poiché nel cammino della virtù incontreremo lo scherno del mondo e spesso l’opposizione della nostra medesima famiglia. È necessario allora volgersi a Dio e guardare a Lui solo.

Abbiamo in noi stessi il gigante che ci contrasta la vittoria, e questo gigante è l’orgoglio; andiamogli incontro con l’umiltà, poiché solo l’umile pastorello fu capace di abbattere Golia; percotiamolo in fronte, abbattiamone la tracotanza, tronchiamogli il capo, e portiamolo in Gerusalemme, nella città di Dio, come omaggio della nostra nullità al Signore.

Impariamo, infine, dalla vittoria di Davide, che le battaglie di Dio non si vincono con la forza materiale, ma si vincono nel Nome di Dio. La Chiesa combatte continuamente disarmata di aiuti umani e, a somiglianza di Davide, dimostra con la sua vittoria che c’è un Dio, e che la sua potenza non ha bisogno di lancia o di spada. Gli aiuti umani non servono spesso che d’impaccio, tanto alla Chiesa quanto all’anima, come erano d’impaccio a Davide le armi di Saul. Abbiamo fiducia in Dio e nel suo Nome inseguiremo i nemici della nostra anima fino agli abissi infernali.


Sac. Don Dolindo Ruotolo, commento a 1 Samuele 17, 1-58
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