Come si è giunti alla definizione dell’infallibilità papale al Vaticano I.

Dal XIII (e ultimo) volume della Storia universale della Chiesa a cura del Card. Hergenröther – Il Kulturkampf, il Concilio Vaticano I, i pontificati fino a Benedetto XV – proponiamo questo utile estratto. Per approfondire l’argomento rimandiamo anche al capitolo L’infallibilità, il magistero, la resistenza all’errore del volume Parole chiare sulla Chiesa. Perché c’è una crisi, dove nasce e come uscirne.

Si trattava perciò di determinare con precisione il soggetto della infallibilità della Chiesa, e non lasciare più libero campo alle interpretazioni gallicane. Il contrasto delle opinioni, che si aveva nella Chiesa, doveva avere un termine, dopo che la teologia liberale era trascorsa a manifestazioni ostili in sommo grado alla Santa Sede e il male mostratosi alla scoperta. Il termine si doveva porre in un concilio ecumenico, e si pose con una matura e libera discussione di tutte le ragioni pro e contro.

E su ciò anche i lavori della opposizione serbano il loro pregio; poiché innanzi ai contemporanei ed ai posteri sono una prova che la grande controversia fu esaminata per ogni parte e discussa, né si trascurò nessun mezzo umano che potesse giovare alla verità.

Ora gli oratori vescovili mettevano innanzi considerazioni generali più alte, ora questioni particolari di erudizione sopra i passi della Scrittura e dei Padri, sopra fatti storici, sopra espressioni teologiche.

Anche i vescovi, finché non si ebbe la definizione, valendosi della libertà di opinare, riconosciuta anche dal Pontefice, manifestavano le impressioni della loro educazione, delle scuole da cui erano usciti, dell’indole della loro nazione; partecipavano insomma ai vantaggi ed agli svantaggi del loro tempo.

Fra le molteplici e profonde discussioni sono da notare le seguenti:

a) La minoranza opponeva: «Non è da fare definizione dogmatica senza esteriore necessità che stringa». Ma, le si rispondeva, questa necessità appunto si dà ora, impugnandosi il primato stesso con tanta violenza: ciò che si tacciava di inopportuno, si era reso necessario.

b) «Ciò che Cristo da sé non ha enunciato, non può essere oggetto di un dogma». Ma in contrario, è dogma che l’Estrema Unzione è sacramento, la Messa è sacrificio, che Cristo è presente nell’Eucaristia per transustanziazione, sebbene non sia nel Vangelo una parola espressa del Signore che l’enunci; che se

c) la dottrina impugnata si dice non abbastanza fondata nel Vangelo, vi sono le parole molto precise del Signore, che dimostrano il primato; poiché queste, secondo l’antica interpretazione della Chiesa, dimostrano insieme l’infallibilità di chi tiene il primato; e il passo di S. Matteo (XVI, 18) mostra ad un tempo con l’indefettibilità e infallibilità della Chiesa anche quella del suo fondamento, cioè di Pietro.

d) La pretesa oscurità della tradizione su questo punto è smentita da numerosi passi dei Padri, dei Concili, della formula di Ormisda; la definizione appare qui come uno svolgimento e una dichiarazione di ciò che in più antichi concili si era detto implicitamente e in recenti concili particolari affermato esplicitamente.

e) Se la parola infallibile non è biblica, né dell’antico linguaggio della Chiesa, lo stesso si diceva un tempo della parola homousion; come questa nel IV secolo, così quella ai giorni nostri era distintivo e tessera dei cattolici.

f) «Ma tutte le obbiezioni e difficoltà scientifiche non sono ancora sciolte». Se si voleva aspettare ciò, non si avrebbe alcuna definizione ecclesiastica, né sulla Trinità e Incarnazione, né pure sul canone biblico: e del resto le conclusioni di una scienza qualsiasi, che ripugnano a qualche dottrina comune nella Chiesa, tanto più sicuramente saranno da ritenersi per errori quanto più apertamente quella dottrina sarà dedotta dalle fonti della rivelazione. Tra questa e la scienza vera non può darsi vera contraddizione, come insegna la costituzione dogmatica, unanimemente accettata, della fede cattolica.

g) Gli esempi addotti di Liberio, Onorio, Formoso e altri Papi non fanno al caso: di nessuna definizione pontificia ex cathedra fu dimostrato che insegnasse un errore.

h) La possibilità che non si nega, di un Papa che apostati dalla fede come persona privata, non ha nulla che fare con l’infallibilità del maestro supremo, richiesta dall’officio e conferita a bene dei fedeli, onde quegli in virtù della promessa assistenza di Cristo non può sancire l’errore.

i) Questo carisma non è un attributo divino, non è impeccabilità, come si vorrebbe far credere. Come i monoteliti non potevano concepire in una sola persona di Cristo una volontà divina ed una umana, perché questa non escluderebbe la possibilità di peccare; così gli avversari della infallibilità non potevano ammettere nella persona del Papa, insieme con la naturale peccabilità umana, la prerogativa della inerranza, ma da quella traevano obbiezioni contro questa; laddove esse appartengono a principii diversi, quella all’ordine naturale, questa al soprannaturale (Valerga).

k) Si dice che col decreto di cui si tratta, divengono superflui i concili e spogliati del loro ufficio di giudici i vescovi. Ma ciò è assolutamente falso; perché il Papa deve usare per la sua definizione tutti i mezzi umani e ordinari, e fra essi in modo affatto speciale sono i concili. I vescovi, che del resto nelle loro diocesi sono giudici più prossimi della fede, vengono da lui uditi e interrogati; di più, possono giudicare indipendentemente, sebbene la decisione finale spetti al Papa, il quale come capo vivente non è separato mai dall’episcopato, preso nella sua totalità.

l) Si temeva l’esasperazione, proveniente da interpretazioni sinistre dei governi, lo spavento degli orientali e dei protestanti, gli scismi che sorgerebbero nella Chiesa stessa e altri pericoli. Ma questi, secondo l’esperienza di altri vescovi (quelli di Westminster, Utrecht, Malines, il patriarca di Hassun), erano parte esagerati, parte insussistenti; e quando pure vi fossero, non potrebbero compararsi alla grandezza del pericolo di vedere l’autorità ecclesiastica cedere innanzi alle minacce di politici e di letterati, e lasciar pericolare la purità della fede. Anche dopo i concili di Nicea, Efeso, Calcedonia nacquero scismi.

Ma la verità e la chiarezza non possono essere una disgrazia.

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Mario Sedevacantista Colucci shares this
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