IL SECONDO OMICIDIO SCOLPITO A VÉZELAY

3 agosto 2018 da beforechartres.blog/…/il-secondo-omic…

Una presenza, un fantasma più ancora che una figura: appare in uno dei capitelli di Vézelay, emerge incerta dal fondo, e lascia interdetti. Poi acquista un nome, per chi legge più a fondo la scena; e allora questa figura abbozzata e incompiuta risulta ancora più ricca di fascino.

Il capitello davanti a cui sostiamo è quello che lo scultore di Vézelay dedica alla morte di Caino, colpito dalla freccia di Lamech. Si tratta di una vicenda più e più volte rappresentata, nel Medioevo, secondo lo schema consolidato, che ai due protagonisti – Caino e Lamech – ne aggiunge un terzo, Tubalkàin, figlio di Lamech. Ed è proprio Tubalkàin il personaggio sospeso, nel capitello di Vezelay, in una strana situazione di semi-realtà.

La vicenda, prima. Caino è anziano, diventato vecchissimo d’anni come accadde solo ai personaggi della Genesi. Da quando ha ucciso il fratello Abele, sono passati secoli; e da allora Caino ha avuto figli e nipoti e pronipoti, a loro volta diventati anziani. Uno di questi, Lamech, anch’esso appunto vecchio, e per questo ormai cieco, sta cacciando nella foresta; ad aiutare Lamech nella caccia è il figlio Tubalkàin: sta a lui scorgere le prede e guidare l’arco del padre. Il fato tragico vuole che i due, Caino e Lamech, si incrocino a distanza, e che Tubalkàin, scambiando l’ombra di Caino per una preda – colpa delle corna, segno posto da Dio sul capo di Caino? – indirizzi l’inconsapevole freccia del padre proprio verso il progenitore. Caino, trafitto, muore così finalmente. Ma la scia di sangue non si estingue qui, poiché Lamech, una volta compreso l’errore, si scaglia sul figlio che l’ha provocato, compiendo un secondo omicidio.
Lamech con l’arco teso, dietro cui emerge Tubalkain (foto di Dennis Aubrey dal bellissimo sito Via Lucis)

Ed ecco la scena rappresentata nel capitello di Vézelay: da una parte Lamech, armato d’arco ma con lo sguardo vuoto; dalla parte opposta Caino, che vaga inconsapevole tra i rami, e con gesti di splendida naturalezza li sposta per aprirsi un varco al lento cammino. Tubalkàin, invece, è un volto e uno sguardo angosciati, è un grido… ed è la figura incompiuta di cui dicevamo.

Sta a metà, il Tubalkàin di Vezelay: è sospesa nello spazio e sospesa nel tempo, quest’anima, e sembra non trovare il suo posto. Quanto allo spazio, il maestro di Vézelay ha infatti scelto di collocarla non ai piedi di Lamech, ma tra l’arco in primo piano e gli arbusti alle spalle; il suo volto, però, sembra voler a tutti i costi emergere. Quanto al tempo, di nuovo questo spiritato Tubalkàin si muove agitato nel prima e nel dopo: lui che del dramma è insieme causa e spettatore impotente, mentre indica il bersaglio sembra pentirsi già del proprio gesto, e preannunciarne l’esito. Lui che dei tre è l’unico a vedere ciò che accade, mentre ancora la freccia non è stata scoccata già presagisce la morte altrui, e forse anche la propria.

Ad aumentare la spiritata inquietudine del Tubalkàin di Vézelay sono i danni che il capitello ha subìto: il rilievo è eroso o sfregiato proprio nella fascia in cui è scolpito il ragazzo, e manca il tratto di corda dell’arco che correva davanti al suo viso. Sul volto, anch’esso sfregiato, il disegno già essenziale dello scultore di Vézelay si trasforma così addirittura in abbozzo michelangiolesco, o in bozzetto contemporaneo. E il capitello, tra i cento, diventa un vero capolavoro di narrazione, dove il dramma del secondo omicidio è descritto, e insieme evocato, con una profondità che non si incontrerà più nei secoli successivi.

La navata della basilica di Vézelay

I capitelli della basilica di Vézelay datano alla metà del XII secolo. Contando quelli nel nartece e quelli nella lunga navata, sono più di cento, e sono opere di grande qualità evocativa, dal tratto insieme moderno e rustico, dalla sinuosità del disegno, dal vigore quasi delirante. I temi rappresentati sono i più vari: si va dalle scene di derivazione classica ai soggetti mostruosi, dalle vicende bibliche ai rilievi decorativi. Alla morte di Caino sono dedicati a Vezelay due capitelli: quello qui descritto è nella navata, sul quarto pilastro di destra; un altro è collocato nel nartece.

Per il loro numero, per il “disordine” della loro narrazione, e per la loro collocazione ad altezze differenti nella basilica, i capitelli di Vézelay sono meno noti e meno celebrati di quanto meriterebbero; soprattutto ne oscura la fama il grande portale della basilica, che attrae a sé gran parte delle attenzioni.
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alda luisa corsini
@Francesco Federico Sì, ormai lo conosciamo tutti ma volevo glissare per non aizzare gli animi...
Francesco Federico
Nella basilica di Santa Maria Maddalena di Vézeley vi è un capitello che Bergoglio ammira e che tiene esposto dietro la sua scrivania e che è alla base di una parte del suo eteroclito "magistero".
Bergoglio va alla ricerca di una supposta “prova” medievale per la sua teoria secondo cui Giuda potrebbe essere salvato: «Ma c’è una cosa che mi fa pensare che la storia di Giuda non finisca lì... …Altro
Nella basilica di Santa Maria Maddalena di Vézeley vi è un capitello che Bergoglio ammira e che tiene esposto dietro la sua scrivania e che è alla base di una parte del suo eteroclito "magistero".
Bergoglio va alla ricerca di una supposta “prova” medievale per la sua teoria secondo cui Giuda potrebbe essere salvato: «Ma c’è una cosa che mi fa pensare che la storia di Giuda non finisca lì... Magari qualcuno penserà: “Questo Papa è un eretico...”. Invece no! Andate a vedere un capitello medievale nella basilica di Santa Maria Maddalena a Vézelay, in Borgogna [Francia]. … In quel capitello, da una parte c’è Giuda impiccato, ma dall’altra c’è il Buon Pastore che se lo carica sulle spalle e lo porta via con sé.»

Francesco confessa di amare quella particolare scultura e la sua falsa interpretazione, così tanto che ne ha una foto dietro la sua scrivania in Vaticano per aiutarlo a meditare sulla grande misericordia di Dio. «Sulle labbra del Buon Pastore c’è un accenno di sorriso non dico ironico, ma un po’ complice.», spiega.

Per chiunque abbia una mediocre conoscenza dell’arte e della teologia medievali, questa interpretazione è un palese travisamento della Storia. Per prima cosa la colonna della Basilica di Vézelay che ospita le reliquie di Santa Maria Maddalena, presenta ovviamente Giuda come il traditore e un simbolo di orrore e lo offre al pubblico disprezzo: la sua lingua è grottescamente fuori dalla bocca e gli occhi saltano fuori follemente quando si stringe il cappio che ha modellato per se stesso nella disperazione.

Questo capitello fu scolpito tra il 1115 e il 1120, ci dicono i libri di Storia dell’Arte, ed al pari di altre rappresentazioni simili in altre chiese, serviva a portare graficamente alla mente dei fedeli il terribile destino dell’apostolo che tradì Cristo, che fu creduto e predicato essere tra i fuochi eterni dell’Inferno. Questo è infatti il luogo in cui Dante - seguendo il tradizionale insegnamento cattolico - pone Giuda, nella fossa più profonda, o il nono cerchio, nella giaccia del Cocito, riservato ai più grandi traditori.

L’uomo che porta via il cadavere, difficilmente potrebbe essere il “Buon Pastore” o Gesù Cristo, come pretende Papa Bergoglio. Nell’XI secolo Cristo è sempre stato rappresentato nelle pitture e nelle sculture con un alone divino, la barba e sempre vestito con una lunga tunica, l’abito senza cuciture che la Madonna aveva tessuto per lui.
Vedi: Cosa c’è dietro la riabilitazione di Giuda da parte di Francesco?