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Domenica delle Palme: contraddizione o vero cristianesimo?

La solennità della Domenica delle Palme o Domenica di Passione è una celebrazione peculiare che ha il suo posto unico all’interno del calendario liturgico dell'anno. Già il nome della festa indica che esiste come una duplice dimensione che è scopribile all’interno della Liturgia stessa: gloria e passione, trionfo e dolore, vittoria anticipata e “apparente sconfitta”... Eppure ciò che alla ragione appare una insanabile contraddizione è così armonicamente congiunto dalla Sapienza di Dio: è un unico mistero che vive di due fasi: il MISTERO PASQUALE.

Ricorda il grande vescovo americano, il Venerabile Fulton Sheen: «Trionfale è stato definito quell'ingresso; ma Egli ben sapeva che gli “Osanna” si sarebbero mutati in “Crocifiggilo”, e i salmi in lance. Fra le grida della folla Egli riuscì a udire il bisbiglio di Giuda e le irate voci dinanzi al palazzo di Pilato. Il trono a cui veniva chiamato era una Croce, e la Sua vera incoronazione sarebbe stata una Crocifissione. Ora Egli posa il piede sulle vesti altrui, ma il Venerdì sarebbe stato privato anche della Sua. Aveva sempre conosciuto l'essenza del cuore umano, e mai una volta supposto che la Redenzione delle anime potesse compiersi mediante fuochi d'artificio vocali. Sebbene fosse un Re, e sebbene quelli ora Lo riconoscessero come il loro Re e Signore, sapeva, Lui, che l'accoglienza regale che Lo aspettava era il Calvario».

In realtà qui siamo nel cuore stesso del mistero cristiano che vive in una tensione continua tra queste due polarità; l’armonizzazione dell’una con l’altra realtà appare, però, a noi poveri mortali, un grande “segno di contraddizione” perché se da un lato sappiamo con la certezza che ci viene dalla fede che “l’Uomo dei dolori” che pende dal legno infame è Trionfatore della morte, del peccato, di satana, è il Re del Cielo e della terra, Colui in mano al quale è il potere assoluto per cui nulla gli è impossibile, tuttavia per quella Croce che Egli si è scelto come strumento per la nostra salvezza il nostro istinto prova spavento e, talvolta, ribrezzo, orrore: non è esso uno strumento di condanna, di morte, che nel caso di Cristo diventa anche emblema di vergognosa ingiustizia ed empietà?

Quella Croce, però, lo sappiamo, è stata trasformata dall’onnipotente carità di Cristo nella nostra salvezza perché Egli l’ha scelta come talamo nuziale su cui consumare, nel sangue da lui versato, le nozze con l’umanità nuova da lui ricreata e rigenerata.

“Ave O Croce” – ci fa cantare la Liturgia -, “nostra unica speranza”!

Quella Croce è

“trono di potenza”,

su cu inizia il nuovo regno, la cui sola legge è l’amore che rinnova il mondo intero; quella croce è

“culla del creato”,

centro del mondo che riceve nel suo grembo il fiore più bello e prezioso dell’universo; quella croce è

“bilancia del riscatto”

su cui è pesato il corpo di Cristo che ha pagato ogni debito e che ha cancellato, per noi, ogni colpa; quella croce è il

“legno della vita”:

Gesù, Nuovo Adamo, abbracciandola e morendo su di essa, ha offerto al Padre un atto perfetto di religione: l’obbedienza sacrificale che ha riparato la disobbedienza del primo Adamo a causa della quale l’umanità era diventata, per usare la forte espressione di sant’Agostino, “massa perditionis”, massa di perdizione.

Ebbene, un tesoro così prezioso era giusto che venisse offerto anche a coloro che, risollevati per suo mezzo, dovevano partecipare dei frutti della salvezza.

Diceva un eccellente teologo del secolo scorso, il padre Antonio Royo Marin, che

l’ostacolo più grande alla nostra salvezza e santificazione è l’orrore che abbiamo della Croce:

infatti se, come i santi, riuscissimo a cambiare il nostro rapporto con lei; se, da nemica, ce la rendessimo amica; se, da fardello insopportabile caricatoci sulle spalle, la vedessimo in una luce nuova, come un dolce giogo con cui partecipiamo intimamente alla vita di Cristo, alla sua grazia, diventando con lui “corredentori del genere umano”, piccoli mediatori del Mediatore per la salvezza di tanti nostri fratelli e sorelle che sono “nelle tenebre e nell’ombra della morte” (Lc 1, 79) allora la nostra vita cristiana sarebbe trasformata e alla tristezza subentrerebbe la gioia, quella "perfetta letizia" di cui parlava e che visse San Francesco d'Assisi.


Se solo sapessimo far valere le ragioni della Fede e non della naturalità, della carità e non dell’egoismo, la nostra anima fiorirebbe, ogni dolore svanirebbe perché la Croce diverrebbe per noi sorgente inesauribile di gioia e delizia.

Santa Teresa arrivò a dire: "Signore, o patire o morire”. E una sua discepola, santa Maria Maddalena de’ Pazzi si spinse ancora oltre: "Patire, non morire". San Francesco d'Assisi, quel serafino di carità crocifissa diceva sicuro: "Conosco Cristo povero e crocifisso, questo mi basta; tanta è la gioia che mi aspetto che ogni pena mi è diletto".

Pazzi? Forse si, eppure è di questi pazzi per Cristo che appartiene il Regno dei Cieli, di questi veri cristiani la cui unica scienza e sapienza è stata il mistero della Croce “riattualizzato nelle loro membra”.

Sappiamo valorizzare questo mistero!

Oggi, tempo di ateismo più folle e di immoralità più balorda, il mistero del dolore rimane al centro della storia come una grande pietra di inciampo su cui, a loro danno, si sfracellano tutti coloro che rifiutano Gesù come Salvatore della loro vita o che, peggio ancora, gli fanno guerra: guerra alle sue Leggi, guerra alla sua Persona, guerra attraverso gli oltraggi mostruosi di cui è vittima nella Santissima Eucaristia.

L’Apostolo Paolo ci ammonisce: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2, 5), il quale “si è fato obbediente fino alla morte e alla morte di Croce" (Fil 2, 8). Avremo i suoi stessi sentimenti se, invece di lottare contro la Croce così come si presenta nella nostra vita, la accoglieremo con fede ed amore: in questo modo leniremo le ferite del nostro amato Salvatore, prima di tutto quelle che gli abbiamo inferto noi coi nostri peccati e, poi, quelle apertegli di continuo da un mondo scellerato e da una Chiesa, troppo spesso, infedele e fedifraga.

Amiamo Gesù! Amiamolo "non a parole ma a fatti" (cf 1 Gv 3, 18), come ci ricorda San Giovanni. Questo amore sarà tanto più eloquente quanto più sapremo farci "crocifissi col Crocifisso", "vittime con la Vittima", "riparatori con Riparatore":

"O Crux ave, spes unica (...) piis adauge gratiam, reisque dele crimina" (1): Salve, o Croce, unica speranza (...). Ai fedeli accresci la grazia e ai peccatori cancella le colpe.

Note:

1) Dall'Inno liturgico "Vexilla Regis".

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p. s. Garantisco la rettitudine dell'insegnamento dottrinale offerto nelle catechesi dei padri impegnati in queste esposizioni. Le catechesi di Padre Donato (il sacerdote che cura il Credo, i 10 Comandamenti, i Sacramenti e i Precetti della Chiesa) sono vivamente consigliate

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