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La curiosa storia di Cirillo Lucaris, “patriarca calvinista” di Costantinopoli

Volentieri offriamo ai lettori questo prezioso estratto del vol. X della Storia universale della Chiesa: Le guerre di religione, le controversie dottrinali, le grandi missioni (Card. Giuseppe Hergenröther). Ancora una volta si sfata il vecchio mito dei “greci fedeli alla dottrina”: si pensi che Cirillo Lucaris è stato addirittura “canonizzato” il 6 ottobre 2009 da parte del “Santo Sinodo del patriarcato di Alessandria” (greco-scismatico).

I luterani e altri protestanti avevano già fatto varie prove di stringere coi Greci una tale unione religiosa; l’odio al Papa ne porgeva loro il destro; ma la tenacità dei Greci nelle loro dottrine ortodosse, oppose ostacolo insormontabile.

Sotto il patriarca Giosafatte II (1555- 1565), il diacono Demetrio Nisio si recò a Wittenberga, a fine di attingere alla sorgente le nuove dottrine.

Melantone gli consegnò nel 1559 una versione greca, fatta dal Dolscio, della Confessione Augustana con una lettera al patriarca, ove egli significava la sua gioia di vedere mantenersi invitta fra crudeli nemici la Chiesa orientale, e quanto ai protestanti assicurava, attenersi loro alla Scrittura santa, ai decreti dei santi concili e alle dottrine dei Padri greci; per contrario rigettare i vergognosi errori dei Manichei, di Paolo Samosateno e altri eretici, come pure le superstiziose alterazioni degli ignoranti monaci latini. Il patriarca lasciò la lettera senza risposta, troppo bene vedendone il fondo.

Appresso (nel 1574) i teologi di Tubinga Iacopo di Andrea e Martino Crusio, per mezzo del protestante Davide di Ungnad, inviato da Massimiliano II ambasciatore presso la Porta, e di Stefano Gerlach suo predicante, si rivolsero al patriarca Geremia II, gli spedirono lettere e sermoni con la Confessione di Augusta e lo richiesero del suo giudizio.

E l’ebbero alfine; ma esso era un forte biasimo delle loro dottrine sulla giustificazione, sui sacramenti, sull’invocazione dei santi, sullo stato monastico, sulla processione dello Spirito Santo. La corrispondenza dei Tubingesi continuò (1576-1581); finché all’ultimo il patriarca, che solo intendeva di trarli a rinunciare i loro errori, li pregò di finirla con le loro pressanti lettere. Ma già i cattolici avevano ben propalato la ripulsa data dai Greci ai protestanti e riprovato la costoro slealtà.

Poi i protestanti ricusarono anche di riconoscere i sette primi concili, se non a condizione, cioè dire in quanto si conformassero alla Bibbia[i].

Simili tentativi si fecero pure dai calvinisti. Cirillo Lucari, greco di Candia, nato nel 1572, dopo avere studiato a Padova ed a Venezia sotto la direzione di Massimo Margunio nemico del Papa, si condusse a Ginevra e prese quivi grande amore alle dottrine di Calvino.

Poi si mise in intima relazione con Melezio Pega suo connazionale, patriarca di Alessandria e nemico fierissimo dei Latini: e questi l’ordinò prete, lo promosse ad archimandrita, e come protettore dei Greci di Polonia lo creò rettore della scuola di Wilna, dove egli si argomentò a tutto suo potere, ma indarno, d’impedire l’unione con Roma.

Seguita la morte di Melezio, Cirillo fu assunto nel 1602 a patriarca di Alessandria, non senza sospetto di simonia. Dopo il suo ritorno da Ginevra, egli era sempre in corrispondenza epistolare coi dotti calvinisti, e si ingegnava a poco a poco di tirare al calvinismo la chiesa greca.

Si mise in relazione con l’ambasciatore d’Olanda in Costantinopoli, Cornelio di Hagen, col predicante Giovanni Uytenbogaert, con Giorgio Abbot arcivescovo di Canterbury, e poi ancora col celebre uomo di stato d’Olanda, Davide Le Leu de Wilhelm.

Inviò allo studio della teologia protestante ad Oxford e in Germania un giovane greco, per nome Metrofane Critopulo.

Alla fine, nel 1621, dopo l’avvelenamento del patriarca Timoteo II, egli ottenne la tanto agognata sede di Costantinopoli e cominciò a scoprire ogni dì più le sue dottrine eterodosse.

Tosto sorse contro di lui un partito violento che lo accusò presso la Porta e lo fece sbandire nell’isola di Rodi. Ma i suoi successori Gregorio IV e Antimo II furono ben presto cacciati; Cirillo, per la venalità dei magistrati turchi e il credito degli ambasciatori d’Inghilterra e d’Olanda, montò per la seconda volta la sede patriarcale e col danaro e con la violenza verso i suoi avversari vi si mantenne otto anni.

Fondò, mercé l’aiuto d’Inghilterra, una stamperia a Costantinopoli, ottenne (1628) la cacciata dei gesuiti, ed ebbe in soccorso il predicante calvinista Antonio Leger di Ginevra. Nel 1629 compose in lingua latina una «professione di fede» e dopo il 1631 la fece diffondere anche in greco. Essendo essa al tutto calvinistica, l’esasperazione dei Greci contro il patriarca traditore montò al colmo; gli arcivescovi Cirillo di Berea e Atanasio di Tessalonica si levarono in contrario, sì che nel 1634 egli fu di nuovo bandito in varie isole.

Di qui proseguì a tenere corrispondenze coi calvinisti; e da capo ottenne, mercé la corruzione, di soppiantare nel 1638 Atanasio succeduto in luogo suo; ma anche questa volta persisté nei dogmi di Calvino. Perciò fino dal 1638 fu condannato in un sinodo e di poi per sospetti politici strangolato.

Il suo successore Cirillo Contari II radunò un sinodo contro lui ed i suoi fautori, dal quale Metrofane Critopulo, da lui promosso alla sede di Antiochia, fu deposto[ii].

Ma avendo il Lucari in effetto guadagnato non pochi seguaci, gli errori di lui furono ancora più volte argomento di trattazioni sinodali, come in particolare nel sinodo di Jassy nel 1642 e in quelli di Gerusalemme sotto Dositeo e di Costantinopoli sotto Dionisio IV nel 1672.

Pietro Mogila, metropolitano di Kiew, pubblicò in opposizione al calvinismo la sua «confessione ortodossa», e questa esaminata da Melezio Sirigo e da Porfirio di Nicea nel 1643 fu da quattro patriarchi e da molti del clero sottoscritta e promulgata quale norma di fede. Alcuni Greci tinti di calvinismo furono condannati anche in seguito, come nel 1691 sotto Callinico II.

>>> Le guerre di religione, le controversie dottrinali, le grandi missioni <<<

[i] Leo Allat. 1. c. c. 8, n.2 s.; c. 11 S. Hefele, in Tub. Quartalschr. 1843, p. 541 ss.; Beitr. zur Kirchengesch. I, 444-447. Werner, Gesch. der apol. und pol. Lit. III, 207 ss.; dove sono anche citati gli scritti di Stanislao Scolovio, canonico di Cracovia (Censura Or. Eccl. Latio donata, e Ad Wirtemb. Theol. invectivam. Trev., 1586) e di altri contemporanei. David Chytraeus, Chronicon Saxon. 1. 27 (Lips. 27 (Lips. 1595), p. 756. Cuper l. c. p. 233- 234; intorno a Raffaele II, ibid. p. 236 s. Cfr. Leo Allat., De consen., ed. Colon. 1648, l. 3, c. 7.
[ii] Ayrnon, Monuments authent. de la religion des Grecs ou Lettres anecdotes de Cyr. Lucaris et du Conc. de Jérusalem. Haye, 1708. All’incontro Renaudot, Con tre les calomnies et faussetés du livre intitulé: Monuments authent. etc. Paris, 1709. De Moni, Hist. crit. de la religion des Orientaux (Francof., 1684), p. 52 s. Pichler, Der Patriarch Cyrill. Lukaris und seine Zeit. München, 1862. Semnoz, Les dernières années du patriarch. Cyrill. Lucar.(Echos d’Orient. VI [1903],97 ss.). Cyrilli Confessio fidei, ed. Genev. 1633, in greco e in latino, presso il Kimmel, Monum. I, 25-44. Contrariamente Matth. Caryophyli […], Censura confessionis fidei calvinianae quae nomine Cyrilli Patr. Constantinop. circumfertur. Roma, 1631. Synod. Constantinop. 1638-1639. Kimmel l. c. n, 325 s. 404. Harduin l. c. XI, 179.
Imm.: Cyril Lucaris, 1632, Geneva, Unidentified painter, Public domain, via Wikimedia Commons.
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