@TommasoG (e
@polos per conoscenza) Si tratta di situazioni non comparabili. Sto osservando da almeno due anni che in tanti, ritengo in perfetta buona fede cristiana, fanno (errando logicamente : mi perdoni) commenti simili al suo.
Mi ero posto anch'io quel problema (dal mio punto di vista, che è un punto di vista molto comodo, non avendo io alcuna speciale responsabilità verso il gregge cattolico e non avendo fatto alcuno speciale voto di obbedienza disciplinare) ma ritengo di essere riuscito ad uscire dalla trappola logica comprendendo la differenza sostanziale fra le due situazioni.
Mi permetto di sottoporre alla sua valutazione un accenno alla mia analisi.
Nostro Signore Gesù il Messia accettò il giudizio (ingiusto) di Pilato almeno per due motivi:
- perché riconosceva la legittimità temporale della giurisdizione di Pilato
(così come io cittadino italiano riconoscerei per un'accusa di reato sotto la giurisdizione italiana la legittimità della mia condanna emessa da una corte di appello italiana anche se io mi sapessi innocente e persino se fossi certo della corruzione di quel tribunale: casomai ricorrerei secondo le procedure legali contro l'ingiusta, ma formalmente perfettamente legale, sentenza dei giudici prezzolati); anche in quella occasione Gesù, mai stato un rivoluzionario mondano, dava a Cesare quello che era di Cesare;
- perché ciò era metafisicamente necessario, nelle condizioni create dal peccato degli uomini, al misericordioso piano di salvezza del Padre: accettare quel giudizio era fare la Divina Volontà.
Non è invece scontato che un vescovo cattolico debba accettare il giudizio di un altro vescovo ritenuto dal primo
fino a quel momento capo di stato di Città del Vaticano e Romano Pontefice.
Un vescovo cattolico
SE egli si considera un dirigente "a libro paga" ;-) della organizzazione umana nota come "Chiesa Cattolica" deve sicuramente rispettare un ordine datogli, secondo i canoni vigenti al momento, da chi è il capo di quella organizzazione. In più, poiché quel capo (che in questa ipotesi il vescovo considera come suo "datore di lavoro", il suo "Cesare") è un monarca assoluto (esclusivamente dal punto di vista temporale il suo potere è totalitario) che, ragionando dal punto di vista temporale, nella sua giurisdizione può fare ed abrogare le leggi come gli pare, quel vescovo deve rispettare anche un ordine contrario ai canoni vigenti fino a un minuto prima dell'ordine, quando il capo faccia intendere che quell'ordine vale come nuova legge.
Quindi quel dirigente, volendo rimanere tale, non ha le alternative di obbedienza che hanno negli stati costituzionali i dirigenti pubblici o i dirigenti di azienda.
Ma un vescovo cattolico, se ha Fede, crede che nessuno deve dare a Cesare quello che in realtà è di Dio e sappiamo dalla Rivelazione ciò che Dio ha voluto che sapessimo essere di Sua competenza.
Un vescovo cattolico non solo di nome ma di Fede crede di essere, prima di ogni suo incarico mondano con i relativi obblighi disciplinari verso l'uomo che governa l'organizzazione, un ministro di Gesù, successore degli apostoli, un battezzato consacrato che appartiene alla ed è pastore nella società dei veri cristiani, nella quale il "datore di lavoro" è N.S.G.C. e nella quale ad ogni livello gerarchico l'
autorità visibile verso i sudditi riguardo alla vita ecclesiale deriva dalla ortodossa Fede testimoniata da chi pretende di avere quell'autorità.
Questo concetto è stato chiarito magisterialmente nel XVI secolo dai papi della Controriforma, ammesso che ci fosse bisogno di questa esplicitazione.
Quindi per un vescovo che dia (giustamente) priorità ai suoi obblighi metafisici verso Dio non c'è dovere di obbedienza a un ordine contrario, in coscienza rettamente formata, ai dogmi già definiti datogli anche dal suo più alto superiore mondano.
Anzi il superiore che insistesse ad operare palesemente contro la Fede non avrebbe più la sua autorità sostenuta da fondamenta metafisiche e quindi, per ciò che è più importante per ogni cristiano, nemmeno si porrebbe più al vescovo il problema di obbedirgli o no disciplinarmente. Il potere di un "papa eretico" sarebbe illegittimo e potrebbe (dipende dalle circostanze) essere dovere di un cristiano resistergli.
Considerando quanto sopra, il commento di
@polos mi sembra ragionevole.
Insomma ricadiamo sempre nel solito tormentone: riconoscere oggi Francesco come papa (in pieno senso metafisico) oppure no.
Nel primo caso nemmeno sarebbe logico fare l'ultimo passo della correzione fraterna insegnata dal Vangelo (e in effetti fino ad oggi nessun cardinale o vescovo già in comunione con B. XVI ha voluto fare l'ultimo passo), anzi persino il solo criticare duramente il papa potrebbe essere grave peccato.