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La Cattedra diroccata e una felice assoluzione. Di Piergiorgio Seveso

La Cattedra diroccata come dissi in una vecchia conferenza sulla costituzione “Pastor aeternus” del Concilio Vaticano, tenuta dieci anni fa all’Università Cattolica del Sacro Cuore in Milano: “E quale è l’unica Cattedra di Verità su questa nostra martoriata e putrescente terra? E’ la Cattedra di Pietro. E questa cattedra rimanda al supremo Istitutore, al suo Divino istitutore ovvero Nostro Signore Gesù Cristo. Il Vicariato di Pietro è il punto nodale, il perno, la chiave di volta dell’intera chiesa cattolica”.

Mai come in questi anni è stato tangibile quanto sia stata attaccata, destrutturata e, se ciò fosse umanamente possibile, annichilita questa Cattedra. La prima onta e la più sostanziale è quella venuta da coloro i quali si sono ritrovati seduti su quella Cattedra durante e dopo il “concilio vaticano secondo” con un “magistero”, miasmatico e modernistico coagulo di verità ed errore, di verità di Fede e di costrutti eterodossi, di “cattolicesimo aggiornato” e vanificata pietà.

La seconda onta (minore) viene oggi spesso dall’ignoranza dilettantesca, dall’insipienza pressapochista, dalla parresia dissennata di chi resiste MALE alla “rivoluzione conciliare”, dall’incontinenza verbale di chi esprime assertivi e irrevocabili giudizi in tempo reale su materie, persone, fatti mai nemmeno lambiti dall’approfondimento e dalla riflessione.

Se talvolta tacere è delittuoso, starnazzare e gloglottare all’impazzata su temi tanto delicati e decisivi è perlomeno dannoso e inopportuno. Si butta spesso il bambino della “teologia romana” e del magistero pontificio con l’acqua sporca del “papato eretizzante”, altre volte non si lava nulla, magnificando acque che farebbero impallidire le fogne a cielo aperto di un megalopoli del terzo Mondo.

Altre volte si magnificano saponi e detergenti-placebo che non lavano, impregnando solo l’aria dell’olezzo di fiori marci di un estetismo degenere e di un conservatorismo minimalista che non va al cuore dei problemi. Per tacere di balie e lavandaie improvvisate e innalzate da blog tradizionalisti e siti tremebondi ed intrinsecamente muliebri a defensores Fidei et tutamina Christianitatis.

In tutto questo “darsi sulla voce”, in questo continuo rincorrere sensazionalismi, in questa spasmodica e affannata ricerca di punti di riferimento, la Cattedra di Pietro sta lì derelitta, danneggiata, algida ed oscurata, ma non distrutta e non distruggibile.

Se parla e tuona attraverso le voci del passato (per chi sa udirle), per il resto oggi tace, assediata dal brusio di voci solo umane che le stanno attorno e TUTTA l’umanità geme, nei languori e nei dolori dell’agonia e della dissoluzione, per questo silenzio. Siamo però certi, in virtù delle infallibili promesse del Divin Salvatore, che questa voce tornerà a risuonare, ora come melodia soave, ora col rimbombo di bellici tamburi, nel proscenio della storia della Chiesa.

Una felice assoluzione il 17 gennaio 2023, Sant’Antonio abate, cui i popoli cristiani affidavano i propri animali, ha avuto pietà di questo “cattolico belva”, per citare l’indimenticato scrittore toscano Domenico Giuliotti. Sono stato infatti assolto “per non aver commesso il fatto” da una corte d’appello di Milano.

Nel primo anniversario della mia condanna in primo grado scrissi queste poche righe.

Un anno fa venivo condannato a due mesi di carcere e svariati denari di multa per alcuni commenti fatti da visitatori sul sito di Radio Spada. Si tratta della mia prima condanna per radiospadismo, un’inezia e quasi una sciocchezza rispetto alle persecuzioni (vere) subite dai cattolici ad esempio durante e dopo la Rivoluzione italiana o “risorgimento” (cito quelli perchè se ne parla poco). In attesa dell’appello ringrazio chi mi aiuta in questi frangenti giudiziari e la Provvidenza per questa (piccola) prova che però non mi ha tolto nè un briciolo di voglia di fare, nè un attimo di buon umore, nè un secondo di sonno. Basterebbe questo dire che le contingenze non mi hanno nè piegato, nè domato. Grazie a quanti mi hanno incoraggiato verbis et factis in quest’anno”.

Così scrivevo e oggi rinnovo quelle parole di gratitudine e di amicizia, confortato da un’assoluzione che certifica la mia estraneità ai fatti che mi venivano addebitati ma non la mia estraneità rispetto la Buona Battaglia. Ringrazio i tanti che mi hanno espresso affetto, vicinanza e solidarietà, chi, magari con discrezione, ha fatto la cosa più importante che potesse fare: ha pregato per me perché non perdessi dignità, coraggio e lieto animo.

Come diceva il mio caro amico Andrea, recentemente e felicemente assolto in un processo che lo riguardava, le sentenze dei tribunali umani non cambiano la consapevolezza che uno ha di sé di fronte a Dio (l’unico di cui si debba temere VERAMENTE e VIVAMENTE il Giudizio) e alla propria coscienza ma possono essere piccole prove che incrementino in noi una pia accettazione dei disegni della Provvidenza.

Per questo ringrazio di tutto cuore e con grande sincerità chi mi ha messo in questi affannosi frangenti ma anche chi, con ingegno, preparazione e maestria da principe del foro, mi ha aiutato a recuperare, un po’ come la casta Susanna, la mia legale innocenza.

Questi sentimenti che cerco di coltivare ogni giorno non mi fanno dimenticare di essere, pur con tutti i miei limiti, un “guelfo nero”.

E lasciando parlare per un attimo il Guelfo nero che è in me non posso ignorare che in certe oscure spelonche, in alcuni impolverati ripostigli, in taluni vituperosi atelier di un certo tradizionalismo o integrismo cattolico di lingua italiana si sia ampiamente tifato, si sia largamente confidato in una mia condanna che si sarebbe in qualche modo riverberata sulle attività di Radio Spada.

Ebbene, carissimi amici, per stavolta vi è andata male. Alla prossima!
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