La certezza dell’esistenza di Dio secondo la ragione, in sintesi

Volentieri offriamo ai lettori questa citazione del saggio di A. Giacobazzi L’inesistenza dei veri atei e l’esistenza del vero Dio, posto in appendice al libro Che cos’è il Cattolicesimo?, del Padre Antonin-Dalmace Sertillanges O.P. (Ed. Radio Spada, 2024) e, nei limiti esatti dell’estratto qui riportato, al volume Buona filosofia e contro–storia filosofica. Dall’antichità pagana ad oggi, di don Curzio Nitoglia (Ed. Radio Spada, 2024).

La Costituzione dogmatica Dei Filius, escludendo ogni esitazione, ci conferma che siamo in grado di avere questa conoscenza: «Se qualcuno dirà che l’unico vero Dio, nostro Creatore e Signore, non può essere conosciuto con certezza dal lume naturale della ragione umana, attraverso le cose che da Lui sono state fatte: sia anatema»[1].

Lo stesso San Paolo[2] era stato chiaro nell’affermare che le perfezioni invisibili di Dio, quali la sua eterna potenza e la sua divinità, fin dalla creazione del mondo, si rendono visibili all’intelligenza mediante le sue opere[3].

È però bene chiarire un aspetto. Ciò che è necessario all’uomo per raggiungere questa verità, non passa per vie difficili ma è così chiaro, «che ci s’accorge appena del processo logico, che vi è implicito»[4]. Lo svolgimento scientifico delle prove – che vedremo a breve – «tutt’altro che dare all’uomo la prima certezza dell’esistenza di Dio, non fa che chiarire e consolidare quella già esistente»[5].

Il Garrigou-Lagrange sintetizza la dimostrazione dell’esistenza di Dio sottolineando come abbia per principio «questa verità evidente per tutti: il più non viene dal meno; o, meglio, il più perfetto non può essere prodotto dal meno perfetto, come dalla causa pienamente sufficiente che ne dia ragione; in altri termini: ciò che è superiore, in quanto tale, non si spiega con ciò che è inferiore»[6].

Sempre valide nello loro sostanza sono le cinque vie di San Tommaso: per quanto assalite dal cosiddetto pensiero moderno e contestante in base a un’idea confusa di scienza, rimangono intatte e disponibili. Nota giustamente il Mondin «che in linea di principio non sussiste nessun rapporto di dipendenza necessaria e vincolante da parte delle cinque vie rispetto alle scienze naturali.

Nulla di quanto accade nell’ambito di queste ultime potrà mai corroborare né infirmare in maniera significativa e decisiva il [loro] discorso [..]. Perché questo è […] totalmente diverso da quello del fisico e del naturalista»[7].

Il loro schema è ben compendiato dall’Enciclopedia Cattolica[8]. Riprendiamolo.
La prima via riguarda il movimento che ovunque si riscontra (anche in senso metafisico) «come passaggio dalla potenza all’atto, un divenire», un cambiamento dal non essere all’essere che «esige un influsso causale di un ente superiore, perché nessuna cosa può dare a se stessa quello che non ha».

Detto in maniera più esplicita: se «il mondo avesse la pienezza della perfezione, il suo divenire sarebbe assurdo. Dunque attraverso il gioco degl’influssi causali tra gli enti in movimento, non essendo possibile un processo all’infinito tra mobili e motori, si deve necessariamente arrivare a un Motore immobile, cioè a un Ente supremo, che non sia soggetto al divenire perché ha la pienezza dell’essere e sia principio efficiente di tutto il divenire del mondo».

La seconda via si fonda sulle «svariate cause efficienti subordinate tra loro, che appunto per la mutua interdipendenza non hanno in sé la ragion d’essere, ma ciascuna si spiega con l’influsso dell’altra». Anche qui non è possibile «un processo all’infinito in una serie di cause tutte subordinate». Va quindi ammessa «una Causa prima che, libera da qualunque influsso, agisca su tutta la serie delle cause seconde».

La terza via parte dall’osservazione della contingenza del mondo «per cui ogni cosa creata non è tale che esiga di essere assolutamente». Quindi «deve esistere un Ente incondizionato, assoluto, che abbia in sé la ragione del suo essere e dell’essere di tutte le creature contingenti».

La quarta via considera il mondo sul piano qualitativo, in relazione ai «diversi gradi di perfezione delle cose, nelle quali la bontà, la verità, la bellezza, la vita ecc. sono distribuite evidentemente secondo il più e il meno». Più o meno perfetto, quindi più o meno essere.

Ma «il più e il meno sia nell’ordine logico come nella realtà ontologica implicano un rapporto genetico, causale a un massimo»; dunque le cose di questo mondo «reclamano un Ente ottimo, verissimo, bellissimo e insomma ricchezza infinita di essere».

In definitiva il principio è questo: «la limitazione della perfezione delle cose create non dipende dalla loro natura, perché se una cosa fosse buona o bella per natura sua, sarebbe bontà e bellezza senza limiti. Dunque la limitazione dipende da una causa estrinseca [Dio], che comunica liberamente ed efficacemente qualche grado della sua perfezione alle cose».

La quinta via, riguarda l’ordine e il fine che «specialmente nel mondo irrazionale, rivelano un’Intelligenza e una Volontà trascendente, cioè una Causa sapiente e libera, principio e fine dell’universo».

Vi sono poi alcuni argomenti che possono essere ricondotti a queste vie.
L’argomento ideologico per cui dentro l’intelletto dell’uomo si trovano realtà con caratteri eterni, necessari e assoluti che rimandano a una Verità eterna, necessaria e assoluta, ovvero Dio.

L’argomento eudemonologico fondato sull’ineludibile tendenza dell’uomo «a un bene sommo, fonte di felicità perfetta», cui corrisponde il Bene perfettissimo.
L’argomento deontologico per cui l’uomo sente «la forza di un imperativo categorico, di una legge morale, che trascende l’uomo e tutta la realtà cosmica evidentemente contingente», indicando un Supremo Legislatore, un Autore di quella legge.
L’argomento morale derivante dal «consenso universale» nell’ammettere «un Principio supremo, oggetto di culto presso tutti i popoli».

Finalmente «l’esistenza di Dio è provata dalla Rivelazione divina e da altri fatti soprannaturali che fanno parte del patrimonio storico dell’umanità».

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[1] Pio IX, Dei Filius, 1870 [Canoni sulla Rivelazione].
[2] Lettera ai Romani 1, 20 e ss.
[3] «La rivelazione divina non è necessaria per avere la certezza dell’esistenza di Dio manifestata specialmente dall’ordine del mondo; ma, «come dice il Concilio Vaticano, la rivelazione divina è moralmente necessaria perché «l’insieme delle verità relative a Dio e accessibili alla ragione, sia, nello stato attuale dell’umanità, conosciuto da tutti, senza difficolta, con una ferma certezza e senza mescolanza di errori» (Denz. 1786)». Vedere: R. Garrigou-Lagrange, Dio accessibile a tutti, Edizioni liturgiche e missionarie, Roma, 1944.
[4] Cfr.: M. J. Scheeben, Dogmatica (II, n. 29), cit. in R. Garrigou-Lagrange, Dio accessibile a tutti, Edizioni liturgiche e missionarie, Roma, 1944.
[5] Ibidem.
[6] Il Garrigou-Lagrange, nell’opera citata, aggiunge in seguito qualche paragrafo per chiarire quanto detto. Ritroveremo il contenuto di questa esposizione nell’analisi delle cinque vie: «In forza del principio il più non può venir dal meno o il più perfetto non può esser prodotto dal meno perfetto, bisogna dunque concludere: se vi è nel mondo un moto, e un moto incessante e universale, è necessario un motore capace di produrlo. Se vi sono nel mondo esseri, che giungono all’esistenza, e che poi spariscono, bisogna che vi sia da tutta l’eternità un Essere che esista per se stesso, che non debba l’esistenza ad altri che a se stesso, e che possa concederla agli esseri contingenti e corruttibili. Se vi sono nel mondo esseri viventi, è necessario che l’Essere, che da tutta l’eternità, esiste per se stesso, abbia la vita e l’abbia da se stesso per poterla dare agli altri. Se c’è nel mondo l’intelligenza, se c’è una sapienza, che arriva talvolta fino al genio, una moralità, talvolta una santità manifesta, è necessario che l’Essere, il quale da tutta l’eternità esiste da se stesso, sia intelligente, sapiente, e veramente santo; di più: bisogna che Egli abbia da se stesso la sapienza e la santità per poterle donare agli altri. Soltanto ciò che è superiore può spiegare ciò che è inferiore».
[7] B. Mondin, Il problema di Dio. Filosofia della religione e teologia filosofica, Edizioni Studio Domenicano, 1999, p. 128. Lo stesso autore approfondisce di seguito: «differente è l’approccio al reale (che è frontale, obiettivo, diretto, fisico, matematico, descrittivo, nel caso del naturalista, mentre è retrospettivo, indiretto, meta-fisico, risolutivo nelle Cinque Vie); diversi gli stessi principi impiegati nell’ermeneutica del contingente (il naturalista ricorre a principi particolari presupponendo la validità dei principi universali: S. Tommaso nelle Cinque Vie ricorre soltanto ai principi primi e li applica coraggiosamente fino in fondo, senza lasciarsi ingannare dalla trappola del regresso all’infinito); diversa è, conseguentemente, anche la metodologia: il naturalista adopera il metodo matematico del puro calcolo: mentre S. Tommaso nelle cinque vie ricorre al metodo risolutivo degli effetti nelle cause, del contingente nell’assoluto. Così risulta dimostrato a priori, ancora prima di affrontare una per una le cinque Vie di S. Tommaso, che è fuori luogo qualsiasi proposta di un aggiornamento di tali vie alla luce della scienza moderna. E una proposta irrealizzabile per quanto concerne la metodologia e i principi primi e, anche se non impossibile, è per altro inutile per quanto concerne i dati di partenza, cioè i cinque aspetti di contingenza che S. Tommaso coglie nelle cose e assume come indizi ineccepibili della esistenza dell’Assoluto, di Dio».
[8] I virgolettati seguenti sulle cinque vie e sugli argomenti ad esse connessi sono tratti da: Enciclopedia Cattolica, vol. IV, 1950, Città del Vaticano, coll. 1618-1621.
Immagine di Pub. Dom. modificata da qui: File:Rose du transept Sud Notre-Dame de Paris 170208 04.jpg - Wikimedia Commons
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