Giuda maccabeo e la guerra anti-idolatra: profezia della milizia degli ultimi tempi?

Commento di don Dolindo Ruotolo a 1 Maccabei capitolo II

Il popolo ebreo era stato giustamente castigato dei suoi peccati con la spada dei suoi nemici; questi avevano oltrepassato i limiti posti loro dalla Provvidenza alle loro azioni, ed ecco che il Signore suscita un capo, per rimettere l’ordine della giustizia, e lo aiuta con particolari effusioni di grazie, rendendolo un eroe leggendario. La gloria era tutta di Dio, e l’eroe aveva solo il merito di aver corrisposto alla grazia divina, compiendo la missione affidatagli.

Antioco – come suole avvenire in simili casi –, non prese sul serio al principio le iniziative di Giuda, e si lusingò che, con le forze che erano di guarnigione in Palestina, avrebbe potuto averne facilmente ragione. Aveva spedito già Apollonio con numerosa scorta a Gerusalemme, ordinandogli di terrorizzare il popolo ebreo, e credeva che bastasse quel capo crudele ed empio a fronteggiare la situazione. Si accorse, però, di avere sbagliato i calcoli, e dovette egli certamente incaricare Apollonio a mettere insieme un forte esercito, raccolto fra le soldatesche dell’impero, e fra la gente di Samaria che era sistematicamente ostile ad Israele.

Giuda ne fu informato, e perciò non attese di essere aggredito, ma gli andò incontro animosamente, lo attaccò, lo sconfisse e ne sbaragliò completamente l’esercito, i cui resti si diedero alla fuga. Giuda s’impossessò delle loro spoglie, sia facendo bottino delle cose lasciate sul campo dai fuggiaschi sia facendo depredare i caduti di quanto avevano; cadde anche Apollonio – com’è chiaro dal contesto –, ed egli ne prese la spada, e se ne servì, d’allora innanzi, ogni volta che dovette combattere, quasi per ricordarsi del prodigio che Dio gli aveva fatto con quella vittoria, e per animarsi a sperarne altre.
La notizia della strepitosa vittoria di Giuda giunse sin nella Siria, dove Seron era prefetto e capo dell’esercito; con la notizia della vittoria giunse anche quella che Giuda aveva raccolto presso di sé altra gente fedele e un’assemblea o chiesa di persone pronte a tutto per difendere l’onore di Dio e l’indipendenza della patria. Seron, orgoglioso e cupido di gloria, pensò che quella era una buona occasione per mettersi in mostra innanzi ad Antioco, e farsi un nome capace di farlo elevare a più alte cariche.

(...) Perciò si mise in ordine organizzando il suo esercito, e, a questo, unì il forte aiuto delle schiere degli empi Israeliti che avevano apostato da Dio, e avanzò sino a Bet-Coron, distante dodicimila passi da Gerusalemme.

Giuda, senza perdere tempo, gli andò incontro nonostante avesse con sé pochi uomini. La sua strategia bellica era: aggredire. La sua strategia spirituale era: confidare in Dio. Era persuaso che, con l’aiuto di Dio, poteva tutto osare, ed esortò i suoi uomini ad avanzare impetuosamente. Ma essi, avanzando, si accorsero di avere di fronte un formidabile esercito, e fecero notare a Giuda che essi, già spossati dalla marcia fatta e per il digiuno, non avrebbero potuto sostenere l’urto di un esercito numeroso e valoroso.

Pieno di fede, Giuda rispose che era facile che molti restassero presi nelle mani di pochi sol che Dio lo volesse, poiché per Lui che salvava con la sua grazia, non v’era differenza nel salvare per mano di molti e per mano di pochi; e soggiunse una massima che dovrebbe stare scolpita nel cuore dei popoli: Vincere in guerra non dipende dal numero degli armati, ma il valore viene dal Cielo. Vedendo, poi, i suoi uomini ancora perplessi, continuò il suo discorso animatore con eloquenza dettatagli dalla fede, e disse: Essi vengono contro di noi con una moltitudine insolente e superba, per sterminare noi, le nostre mogli e i nostri figli, e per spogliarci, ma noi combatteremo per le nostre vite e per le nostre leggi, e il Signore stesso li schiaccerà dinanzi a noi; voi, dunque, non abbiate paura.

Con quest’eloquenza soprannaturale, i suoi uomini si rianimarono ed egli, spingendoli con l’esempio, si scagliò subito contro l’esercito di Seron e lo sconfisse. Giuda lo inseguì per la discesa di Bet-Coron sino alla pianura; ottocento uomini perirono e il resto fuggì nel paese dei Filistei.

Questa vittoria alimentò a tal punto la fama di Giuda che le genti circonvicine furono invase da spavento, e tutti parlavano delle battaglie di quel capo invitto. Anche il re Antioco ne fu informato e dovette ricorrere ad estremi rimedi, come vedremo.
Si sparse dovunque la fama del valore di Giuda, considerandolo come un eroe, e tale egli era, ma non tanto per la propria capacità e forza, quanto per forza di Dio. Egli, infatti, era persuaso più di tutti della propria inferiorità innanzi al nemico, sia come numero di combattenti sia come efficienza di armi, ma confidò in Dio, rimise a Lui solo la vittoria, e questa gli arrise, fino a lasciare stupefatti quanti ne furono informati. Era invincibile non solo per virtù propria e, insieme col suo esercito, era tipo e figura dell’indefettibile forza della Chiesa, che è tutta fondata in Dio solo.

Questa grande verità, ammessa da tutti i cattolici teoricamente, non sempre è ammessa praticamente nella loro vita, e noi possiamo dire che mai come ora il naturalismo, nella sua espressione più materialistica, ha intaccato il cuore cristiano, sotto le parvenze di scienza, di rigore d’indagini, di prudenza, di politica, e di simili trovate, che praticamente hanno soppiantato la fiducia che si deve avere in Dio, per attaccarsi unicamente alle forze umane e ricercare gli aiuti umani. Il calcolo delle probabilità della riuscita di un affare, anche solamente spirituale, è fatto sulla base dell’elemento umano, anche quando per un certo pudore spirituale, si dice di voler fare capo all’elemento soprannaturale.

Questo errore nasce dalla pretesa di voler distinguere nettamente la materia dallo spirito e l’umano dal soprannaturale, quasi che il corpo potesse considerarsi senza l’anima che lo informa, e il naturale fosse qualcosa estraneo a Dio e al soprannaturale. La teoria della divisione dei poteri si applica in una maniera disastrosa alle attività dell’uomo, di modo che si considerano il naturale e soprannaturale come due mondi completamente estranei, nei quali l’uomo e le forze naturali tengono il loro pieno dominio e Dio tiene nell’altro campo, il suo.

L’uomo, nella pretesa di regnare da padrone nel proprio mondo, finisce a mano a mano per considerare come fantastico, o quasi, il mondo spirituale e soprannaturale, crede positivo solo ciò che cade sotto il dominio immediato dei sensi, perde la fede perché adora la scienza, la propria scienza, e ripete il gioco antico di satana, cadendo nelle medesime panie nelle quali caddero i nostri progenitori. Allora la fede apparisce come una fantastica idealità di mente sovraeccitata, la speranza un’illusione fatta per calmare momentaneamente un dolore, la carità il frutto di un bisogno interiore di una certa espansione, la preghiera un’oziosità che deve cedere imperiosamente all’azione, la fiducia in Dio un sogno più o meno poetico, che finisce col ridestarci rudemente nella realtà positiva delle cose.

(...)

Nelle nostre necessità, nei pericoli, nelle angustie tanto personali quanto familiari e nazionali, bisogna persuadersi che la nostra vera forza sta in Dio; se dobbiamo ricorrere ai mezzi naturali perché ce li ha dati il Signore, bisogna pur pensare che per Dio, Padrone del cielo e della terra, non v’è differenza nel salvare per mano di molti o per mano di pochi, e che il minimo mezzo umano col suo aiuto, diventa formidabile, mentre i massimi mezzi umani, senza il suo aiuto, diventano estrema debolezza. Nelle guerre, poi, bisogna ricordarsi che vincere non dipende dal numero degli armati, perché il valore viene dal cielo. Illudersi che la vittoria o la riuscita in qualunque affare dipenda dalle nostre forze e dalla nostra volontà, prescindendo dai mezzi soprannaturali o addirittura ignorandoli, è lo stesso che votarsi all’insuccesso e alla rovina.

Questo che si dice di qualunque attività umana, molto più deve dirsi della Chiesa; essa non può combattere le sue battaglie che con la fede, la speranza, la carità e la preghiera e, ogni volta che confida nei mezzi e negli aiuti umani e puramente naturali, va sempre incontro all’insuccesso e alle più gravi tribolazioni. Vince quando sorge in lei un valoroso Giuda Maccabeo, un’anima forte nella fede, nella speranza e nella carità, che lodando Dio e glorificandone la potenza, trascina le anime alla fiducia soprannaturale in Dio solo.


(...)

Bisogna umiliarsi innanzi a Dio e confessare che gl’insuccessi che si riportano nel campo spirituale sono dovuti unicamente alla fiducia che riponiamo nei mezzi umani. Se con fede veramente ferma e sincera facessimo capo a Dio con la preghiera e con la penitenza, noi saremmo invincibili e domineremmo talmente il male che dilaga nel mondo da sopraffarlo con grandissima facilità, fino a diventarne anche noi il martello. Satana si ride altamente delle trovate umane, perché in questo campo egli ha risorse immense da opporci. Egli viene contro di noi con la moltitudine insolente e superba dei suoi ministri per spogliarci della grazia, ma noi combattendo con i mezzi soprannaturali lo vinceremo, perché il Signore stesso lo schiaccerà innanzi a noi.
Francesco I
La guerra contro l'idolatria in questo momento sembra persa !
Addirittura colui che siede indegnamente sulla cattedra di Pietro organizza sabba satanici delle streghe in Vaticano ! Sed non prevalebunt !
Massimo M.I.
Amen!!!