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Il dramma liturgico del Cardinale Gaetano Cicognani

Il 5 febbraio 1962, cinquant’anni fa, moriva l’Eminentissimo Cardinale Gaetano Cicognani.

Nato a Brisighella, nel Ravennate, il 26 novembre 1881, fu ordinato sacerdote nel 1904 da mons. Gioachino Cantagalli, Vescovo di Faenza. Conseguiti gradi di Filosofia, Teologia e ambo i Diritti presso l’Ateneo Romano di Sant’Apollinare, entrò a lavorare presso la Sacra Rota, ottenendo pure una cattedra nel già menzionato ateneo.

Il 1915 è l’anno del suo ingresso in Segreteria di Stato, che dovette però lasciare l’anno dopo, venendo inviato prima alla nunziatura di Madrid poi a quella di Bruxelles.

L’11 gennaio 1925 Pio XI lo elesse Vescovo titolare di Ancira e lo nominò Nunzio apostolico in Bolivia. La consacrazione episcopale gli fu conferita dal Cardinale Pietro Gasparri il 1° febbraio seguente.

Nel 1928 passò alla nunziatura del Perù, quindi nel 1936 a quella viennese e infine nel 1938 nuovamente a quella di Spagna, negli anni dell’Anschluss e della tremenda guerra di Spagna.

Pio XII lo creò Cardinale Prete di Santa Cecilia nel Concistoro del gennaio 1953. La berretta gli venne imposta a Madrid dal Generalissimo Franco.

Ad ottobre dello stesso anno ricevette la nomina a Prefetto della Sacra Congregazione dei Riti, deputata alle questioni di Liturgia e alle cause dei Santi.

Morto Pio XII il 9 ottobre 1958, con l’elezione di Giovanni XXIII, conservò le cariche e ottenne in aggiunta l’episcopato suburbicario di Frascati, vacante per la morte del Cardinale Federico Tedeschini il 2 novembre 1959.

Nel contesto della preparazione del Concilio Vaticano II, ricoprì l’incarico di Presidente della Commissione Preparatoria per la Liturgia, con padre Annibale Bugnini come Segretario. A questo incarico è legato il “dramma” di cui si parla nel titolo.

Dopo due anni di lavori (1960-1962) bisognava infatti che Cicognani apponesse la sua firma in calce alla bozza del testo sulla liturgia che si voleva proporre ai padri conciliari. Il Cardinale però esitava, si rifiutava proprio di firmarla. A forzarlo ci pensò lo stesso Roncalli, secondo quanto scrisse padre Ralph Wiltgen ne “Il Reno si getta nel Tevere” (1967).

«Giovanni XXIII chiamò il suo segretario di stato e lo pregò di andare a trovare il fratello, e di non tornare che con lo schema debitamente firmato. Il 1 febbraio 1962 il segretario di stato andò quindi a trovare suo fratello nel suo ufficio; vi trova Mons. Felici ed il P. Bugnini nel corridoio, e informò suo fratello del desiderio del Sommo Pontefice. Più tardi, un esperto della commissione preconciliare sulla liturgia affermò che il vecchio Cardinale tratteneva a stento le lacrime, e che agitava il documento dicendo: “Mi vogliono far firmare questo, non so che fare”. Poi posò il testo sulla scrivania, prese una penna e firmò. Quattro giorni più tardi era morto» [1].

Scrisse Bugnini: «Se il cardinale Cicognani non avesse firmato la Costituzione, il risultato, umanamente parlando, sarebbe stato un vero disastro» [2].

Un disastro per i progressisti, ma non per la Santa Chiesa.

[1] Le Rhin se jette dans le Tibre, ed. americ. 1967. Ed. du Cèdre (ed. francese) 1976, p. 139.
Amleto Giovanni Cicognani, fratello minore, diplomatico anch’egli, fu fatto cardinale nel primo concistoro di Giovanni XXIII, che alla morte del card. Tardini lo nominò suo Segretario di Stato.
[2] Annibale Bugnini, La riforma liturgica (1948-1975), Edizioni Liturgiche, Roma, 1983, p. 36.
N.S.dellaGuardia
Che dramma.
Eppure quanto avrebbe potuto fare con un rifiuto: il dramma di chi deve ubbidire agli uomini, senza accorgersi di star disobbedendo a Dio...