Impregnati di pensiero positivista - A titolo di esempio, il significativo percorso di rinnovamento che la Scuola Regina Mundi (Milano) ha intrapreso negli ultimi anni. La Scuola Regina Mundi nasce …Altro
Impregnati di pensiero positivista -

A titolo di esempio, il significativo percorso di rinnovamento che la Scuola Regina Mundi (Milano) ha intrapreso negli ultimi anni.

La Scuola Regina Mundi nasce dalla fusione di due istituti storici: l’Istituto Maria Consolatrice di Viale Corsica (1936) e l’Istituto San Vincenzo di Via Boncompagni (1960). Negli anni 2007 e 2008 i due istituti sono poi passati sotto la gestione di due cooperative di genitori desiderosi di non privare i propri quartieri di opere educative tanto importanti.
Le due opere si sono così arricchite della sensibilità educativa e dell’esperienza ecclesiale di Mons. Luigi Giussani, il cui carisma e passione per l’educazione hanno mosso le famiglie che hanno costituito le cooperative, nel solco della tradizione educativa della Chiesa Cattolica. È stata scelta la forma giuridica di cooperativa per favorire il coinvolgimento e la corresponsabilità delle famiglie e per sottolineare il carattere sociale e senza fini di lucro della scuola.

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Conviene soffermarsi un momento per fare un bilancio di tutte queste iniziative filantropiche.

Il Grande Oriente d’Italia e l’educazione: l’azione delle logge nelle grandi città (1868-1925)

L’articolo analizza l’impegno della massoneria italiana in ambito educativo. Tra il 1868 e il 1925 le logge all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia promossero e sostennero numerosi enti. A titolo di esempio, vengono prese in considerazione tre grandi città: Torino, Milano e Roma. Si tratta di centri urbani diversi tra loro ma caratterizzati da un numero elevato di iniziative messe in campo e dalla volontà di sperimentare nuovi modelli educativi di matrice laica (educatori, istituti, ricreatori, scuole serali e università popolari).
Introduzione
Ottenuta nel 1861 l’unificazione italiana e la costituzione del Regno d’Italia, la massoneria si trovò ad affrontare gli enormi problemi economici e sociali che affliggevano il paese. Il giovane stato, infatti, non poteva contare su solide basi, dal momento che era nato contro la volontà della Chiesa Cattolica e che la maggioranza della popolazione non aveva partecipato al movimento risorgimentale.
In questo difficile contesto maturò il progetto di intervenire in ambito educativo. Se ciò si inseriva nel solco della tradizione filantropica perseguita dalla libera muratoria, essa acquisì un ulteriore significato, quello di contribuire alla formazione di una identità e coesione nazionale. Si doveva, insomma, ‘plasmare’ i cittadini del nuovo stato.
Coerentemente con questo approccio, l’azione del Grande Oriente d’Italia, la più importante e numerosa obbedienza massonica, intervenne a 360 gradi in tutti gli ambiti della vita sociale. Lotta alla povertà, costruzione di case popolari e formazione per i giovani e i disoccupati furono solo alcuni dei campi d’azione a cui le logge diedero il loro contributo. Agli occhi dei ‘fratelli’ italiani, impregnati di pensiero positivista, l’educazione avrebbe portato alla emancipazione morale e materiale dei ceti popolari.
I primi tentativi
Già nell’assemblea costituente del Grande Oriente Italiano, convocata a Torino nel dicembre 1861, uno dei partecipanti, il deputato David Levi, si era posto il problema dell’istruzione: secondo il suo parere, uno degli scopi della obbedienza avrebbe dovuto essere la promozione di asili, scuole serali e tecniche1.
Questa prima esplicita dichiarazione, però, non ebbe molto seguito perché l’organizzazione era impegnata a raccogliere faticosamente tutti i massoni della Penisola e dovettero perciò trascorrere alcuni anni perché si ritornasse ad affrontare l’argomento.
Il segnale giunse dai vertici: il Gran Maestro Lodovico Frapolli, appena insediatosi, nell’agosto del 1867 inviò una circolare in cui si segnalavano una serie di attività che ogni singola loggia doveva promuovere per il miglioramento dell’umanità, tra cui spiccavano la creazione di scuole per l’infanzia e per gli operai2.
Coerentemente con questo enunciato, ci si attivò per mettere in campo alcune iniziative. Nel 1868 nasceva l’Associazione Nazionale Italiana per l’Istruzione ed Educazione Popolare. Si trattava di un progetto voluto e promosso dalla Loggia Dante Alighieri di Torino che si prefiggeva, come riportato dallo statuto, di promuovere l’istruzione elementare, facendo pressione sui comuni in modo che nascessero scuole serali e festive per gli adulti oltre a biblioteche popolari circolanti3.
La società si rivolgeva non solo ai massoni ma a tutti coloro che avevano a cuore il problema.
A partire dal 1871, il comitato torinese divenne il centro direttivo di questa associazione, promuovendo attivamente l’istituzione di scuole non solo in ambito cittadino ma anche nelle campagne4.
Altra iniziativa contemporanea fu il sostegno alla neonata sezione italiana della Lega d’Insegnamento. Sorta in Belgio nel 1864, su iniziativa di alcuni massoni della loggia Amis Philantrophe, essa aveva avuto un notevole impulso radicandosi anche in Francia5.
Il programma educativo di cui si faceva portavoce aveva come obiettivo ultimo l’emancipazione dei cittadini e la fine dell’influenza clericale sulla società civile. A tale scopo, prevedeva l’istituzione di biblioteche popolari circolanti, la presentazione di conferenze di argomento scientifico e politico, nonché l’apertura di scuole serali, festive e professionali6.
Forte dello spiccato carattere laico che la caratterizzava, la società si rivolse alla comunità massonica, lanciando un appello sulla rivista del Grande Oriente. I sudditi del giovane regno dovevano ricevere un’educazione “larga, libera, universale”, che li svincolasse dai pregiudizi: solo così avrebbero intrapreso quel percorso di civilizzazione che li avrebbe portati a divenire cittadini a pieno titolo7.
L’invito fu raccolto, anche in questo caso, dalla Dante Alighieri, che si fece promotrice, tramite il medico Secondo Laura, della fondazione del comitato locale.
Nel 1868 la loggia Nuova Campidoglio di Firenze propose la creazione di un liceo massonico internazionale. Questa scuola, seppur aperta a tutti, sarebbe stata interamente gestita da ‘fratelli’ e si sarebbe ispirata alle più moderne teorie pedagogiche. Gli studenti avrebbero seguito il normale percorso stabilito dal Ministero, affiancando ad esso corsi di lingue8.
La complessità di istituire e gestire un ente del genero fece sì che il progetto non venisse mai realizzato, tanto più che il sostegno dei vertici del Grande Oriente venne meno. Nonostante i successi ottenuti fossero stati limitati, l’assemblea costituente del 1872, tenutasi a Roma, ribadì l’importanza dell’impegno massonico in ambito pedagogico. Le costituzioni approvate affermarono che l’Obbedienza doveva contribuire al miglioramento e perfezionamento dell’umanità attraverso l’educazione, l’istruzione e la beneficenza9.
Nel 1874, il Gran Maestro Giuseppe Mazzoni riprese l’appello del suo predecessore Frapolli. A suo vedere, i massoni non potevano lasciare l’istruzione in mano al monopolio cattolico, tanto più visto il risultato negativo ottenuto in parlamento, dove la proposta di rendere obbligatoria l’istruzione era stata respinta. Ancora una volta, si ricordava come l’arma per sconfiggere l’ignoranza fosse l’istruzione. L’azione delle logge, pertanto, doveva essere concreta, sostenendo economicamente maestri ed alunni, fornendo libri e inchiostro, oltre ad aprire biblioteche rurali e cittadine10.
L’impegno preso in prima persona dal Gran Maestro ebbe ricadute anche sul periodico ufficiale del Grande Oriente, la Rivista della massoneria italiana. Qui, nel 1874, fu inaugurata un’apposita sezione in cui sarebbero state segnalate le iniziative pedagogiche che le diverse logge sparse nella Penisola avrebbero messo in campo11. Lo scopo implicito era creare uno spirito di competizione che spingesse le logge ad aumentare il proprio impegno in questo settore.
Le direttrici indicate dai dirigenti dell’Obbedienza italiana furono poi continuamente riconfermate dalle giunte successive. La lotta all’influenza cattolica e la diffusione del sapere si inserivano nel processo di laicizzazione e modernizzazione di cui la massoneria si faceva portavoce. Il progetto seguì una doppia traiettoria: dall’alto, attraverso pressioni sul parlamento e sulle amministrazioni locali a favore di una politica che rendesse la scuola gratuita e obbligatoria; dal basso, con la promozione di strutture educative e culturali che iniziassero l’opera e fornissero spunti e modelli da seguire.
Se l’attività di lobbying su Camera e Senato per la promozione di politiche educative nazionali è già stata oggetto di alcune analisi (opera di riferimento rimane la monografia di Tina Tomasi)12, non altrettanta attenzione ha avuto lo studio delle iniziative messe in campo nel corso degli anni nelle diverse città italiane. Di seguito ci si concentrerà su quest’ultimo aspetto, prendendo brevemente in considerazione tre centri paradigmatici: Torino, Milano e Roma.
Torino
Con il trasferimento della capitale a Firenze (1864) e poi a Roma, la città di Torino conobbe un processo di profonda ristrutturazione e trasformazione. Il capoluogo che aveva visto, nel 1859, risorgere la massoneria e quindi la sua strutturazione su base nazionale, si trovò a dover gestire il passaggio da centro della vita politica a polo industriale.
Grazie alla radicata presenza massonica, gli esponenti locali furono in grado di dare un importante contributo alla nascita di diversi istituti pedagogici.
Il primo, in ordine di tempo, fu l’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari. Inaugurato nel 1868, rappresentò il frutto di un compromesso tra le diverse anime che avevano alimentato il Risorgimento: monarchici, moderati e democratici. L’idea era di costruire un collegio che accogliesse le figlie dei soldati e che desse loro un’educazione al passo con i tempi13.
Il primo contributo ‘massonico’ fu dato dall’ex Gran Maestro Aggiunto Carlo Michele Buscalioni, che, sebbene avesse formalmente lasciato l’Ordine, continuava ad avere strettissimi rapporti con le logge. Dal momento che era stato segretario della Società Nazionale Italiana, egli riuscì a fare pressioni sul Comitato Femminile per il Soccorso ai Feriti delle Guerre Patrie ottenendo che esso versasse l’intero capitale ancora presente nelle sue casse14.
Nonostante l’operazione fosse stata in gran parte diretta dal deputato Tommaso Villa, membro della Cavour e futuro presidente dell’istituto (1898-1915), egli non riuscì ad evitare che la componente clericale-moderata imponesse una rigida divisione delle ragazze a seconda del ceto sociale di appartenenza. Il collegio, che accoglieva fanciulle dagli 8 ai 18 anni, nel 1876 si organizzò in tre strutture distinte che ospitavano indirizzi scolastici differenti: Villa della Regina (per le giovani altolocate), Casa Magistrale (per le figlie della piccola e media borghesia) e Casa Professionale (per le ragazze provenienti da famiglie contadine e operaie)15.
Il primo aspetto interessante di questa scuola fu il rilevante interesse per una formazione di eccellenza di donne da impiegare nelle nascenti industrie locali, se provenienti dai ceti più umili, oppure in settori strategici come la scuola, se appartenenti a famiglie più benestanti. Il secondo elemento da sottolineare fu il dibattito che vide contrapporsi le diverse fazioni sul grado di laicità dell’istituto. Consapevoli della difficoltà di imporre la propria visione sugli altri membri del consiglio direttivo, gli esponenti della massoneria Villa e il professor Ariodante Fabretti (vicepresidente dal 1887 al 1894 e affiliato alla Dante Alighieri) ottennero di limitare il personale religioso al cappellano e all’insegnante di religione, nonché di ridurre l’orario destinato alla messa (due sole volte alla settimana) e all’insegnamento religioso (un’ora alla settimana)16.
L’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari fu uno dei più importanti esperimenti sostenuti dalla massoneria nel campo dell’educazione femminile. Esso, però, non modificava, nella sostanza, il ruolo della donna nella società. Per quanto tutti i massoni fossero concordi nel volere l’emancipazione della donna dall’influenza della Chiesa Cattolica, molto più difficile era determinare quale fosse, nel concreto, il percorso educativo da seguire e quali i suoi sbocchi. La donna, infatti, continuava ad essere percepita come moglie e madre: secondo Cesare Prandi, autore di un articolo sulla rivista del Grande Oriente, le scuole elementari e professionali si sarebbero dovute limitare a preparare le giovani nella gestione del focolare domestico17.
Nel 1869 moriva l’imprenditore Carlo Alfonso Bonafous. Massone di origine francese, egli lasciava ai confratelli della Dante Alighieri una somma enorme (circa 1.250.000 lire, equivalenti a 5.700.000 euro), con l’incarico di costruire una scuola agricola rivolta ai minorenni abbandonati e vagabondi18.
Dopo due anni di braccio di ferro tra Villa e il prefetto di Torino, che voleva avere peso nella futura gestione della struttura, nasceva l’Istituto Bonafous. La scuola, distante due chilometri e mezzo dalla città, poteva contare su vasti terreni da coltivare e accoglieva ragazzi di età compresa tra i 10 e i 18 anni. Dal momento che molti di loro provenivano da situazioni difficili o da orfanotrofi, essa fu ordinata secondo uno schema che richiamava l’organizzazione famigliare: gli allievi erano suddivisi in piccoli gruppi, guidati da un membro del personale, e si gestivano autonomamente19.
Oltre a impartire lezioni di alfabetizzazione e istruzione elementare, il consiglio direttivo cercò di innovare il mondo agricolo, sperimentando nuove colture, ed educando i futuri contadini negli ultimi ritrovati della tecnica20.
È molto difficile valutare l’influenza che i massoni ebbero sulla struttura: la presenza di “fratelli” nell’amministrazione fu estremamente limitata, eccettuato Villa - dapprima vicepresidente (1871-1873) e quindi presidente (1874-1880) -, mentre molto più significativa fu l’attività di sostegno economico al funzionamento della struttura, con la presenza di diverse personalità del mondo imprenditoriale e borghese21.
Si trattò, probabilmente, di un calcolo di opportunità: di fronte alle difficoltà di un’impresa del genere, cui si aggiungeva la novità dell’esperimento, si riteneva meglio offrire un supporto prettamente finanziario, lasciando ad altri la direzione della struttura.
Rimanendo sempre nell’ambito dell’educazione professionale, nel 1886 ci fu un primo tentativo di creare una scuola per l’insegnamento della meccanica. L’iniziativa, che aveva visto la partecipazione di Vittorio Mirano (presidente dell’Associazione generale dei Lavoratori e uno dei protagonisti della rinascita della massoneria a Torino nel 1859), ottenne un buon riscontro, tanto che la loggia Cavour si impegnò a versare un contributo finanziario per il funzionamento dell’ente22.
Nel 1887 nascevano, pertanto, le Scuole Officine Serali, con il preciso obiettivo di trasformare giovani apprendisti in operai altamente qualificati, in grado di provvedere a sé e alla propria famiglia23.
I corsi previsti erano diversi: lavorazione del legno, del ferro, della creta, costruzione in muratura e litografia. Con il passare del tempo si aggiunsero nuovi insegnamenti più legati all’industria, quali tornitura meccanica, riparazione delle macchine agricole e disegno tecnico24.
Una menzione speciale va rivolta al corso per orafi voluto dagli eredi di Carlo Borani, gioielliere di Casa Savoia ma anche membro della loggia Ausonia.
L’inizio del Novecento rappresentò un momento di cesura importante perché vide una improvvisa impennata della presenza massonica ai vertici dell’istituzione. Fino a quel momento, infatti, l’impegno dei ‘fratelli’ si era in gran parte concentrato sull’aspetto finanziario (si pensi al sostegno economico del banchiere Carlo Bonis, membro della Cavour) e sugli insegnamenti, con il contributo gratuito di diversi liberi muratori in qualità di professori. Col 1902, invece, ci fu un cambio di strategia e la massoneria assunse il controllo pressoché totale delle cariche direttive: uno dei due vicepresidenti (Giovanni Battista Diatto), il segretario (Annibale Cominetti) e il tesoriere (Natale Caula) risultano affiliati alla massoneria, mentre il direttore del personale insegnante, Francesco Bay, lo sarebbe diventato nel 191125.
In mancanza di fonti che chiariscano le dinamiche interne di questa scelta, si può comunque individuare un dato di fondo: le logge del capoluogo subalpino (Pietro Micca- Ausonia, Cavour e Dante Alighieri) non furono le uniche a dare un contributo alla scuola, ma parteciparono anche membri e officine dell’intera regione, come la Giordano Bruno di Pinerolo, la Giuseppe Garibaldi di Novara e la Andrea Vochieri di Alessandria.
Tale progetto fu una sorta di ‘terza via’: di fronte alla scelta se gestire l’istituto assieme ad altre componenti politiche e filosofiche oppure limitarsi a fornire un supporto economico, si optò per il controllo completo dell’ente. Si trattò di una scelta facilitata dalla tipologia di offerta educativa che, limitandosi a una formazione strettamente professionale, rendeva improbabile qualsiasi polemica antimassonica.
L’ultima iniziativa si concretizzò nella fondazione della prima Università Popolare in Italia. Si trattava di un modello educativo già presente da tempo in Europa, che aveva in Francia e in Inghilterra i paesi di riferimento. Lo scopo di questi istituti era quello di diffondere tra gli strati sociali più popolari - non in grado di frequentare le università vere e proprie - una cultura di livello superiore, tramite conferenze e lezioni26.
I maggiori promotori di questo progetto furono il socialista Donato Bachi, i medici Pio Foà e Amedeo Herltizka, nonché il professore di Astronomia Francesco Porro, tutti massoni. Grazie al loro impegno l’Università di Torino decise di concedere l’utilizzo delle proprie aule, permettendo che i corsi partissero ufficialmente il 12 novembre 190027.
Il primo Consiglio generale elesse Foà preside ed Herltizka segretario mentre, per il comitato scientifico, fu designato il famoso matematico Giuseppe Peano (membro della Dante Alighieri). I corsi erano a pagamento e aperti a tutti coloro che, in possesso del diploma di scuola elementare, volevano “coltivare la mente”. Data l’impronta massonica, lo statuto escludeva esplicitamente qualsiasi interferenza politica e religiosa28.
La formazione positivista di buona parte dei fondatori e degli insegnanti fece sì che gran parte dei corsi si focalizzassero su temi pratici e scientifici. Si potevano seguire, infatti, lezioni di igiene, sulla prevenzione delle malattie, nozioni elementari di elettricità, chimica e diritto commerciale. Grazie al buon successo dell’iniziativa, la scuola potesse godette di una vita tranquilla e indipendente, almeno sino al 1930, anno in cui il fascismo tentò di inglobarla all’interno delle sue attività culturali.
Milano
Per quanto riguarda Milano, bisogna sottolineare che la presenza massonica in questo grande centro della pianura padana non solo era molto radicata ma che qui, più che in altri luoghi, spinte laiche e riformiste si incontravano rendendo i ‘fratelli’ molto attivi. Ciononostante, il tema dell’educazione fu lasciato in disparte sino al 1876, anno in cui le logge locali decisero finalmente di impegnarsi nella creazione di istituti educativi29.
Una delle prime iniziative fu la creazione di un periodico profano che si concentrasse proprio su questi temi. Nacque così «La Famiglia e la Scuola. Foglio settimanale di istruzione e di educazione»: diretto da Ludovico Coiro, membro della Ragione, il giornale non conobbe molta fortuna e fu pubblicato solo fino al 187830.
Se questo progetto editoriale ebbe scarsa fortuna, molto più significativo fu lo sforzo di trovare alternative agli oratori cattolici, in cui crescevano e trovavano un luogo di aggregazione i giovani.
Come primo passo fu creata una commissione con lo scopo di studiare il loro funzionamento. Gli incaricati di redigere questa analisi furono Decio Nulli (membro del partito radicale) e il medico Gaetano Pini, esponenti di primissimo piano della massoneria locale (senza dimenticare che il secondo era anche presidente del Rito Simbolico Italiano, rito che prevedeva solamente i primi tre gradi). I rapporti dei due ‘fratelli’, che furono poi pubblicati, esaminavano nel dettaglio aspetti economici e amministrativi degli oratori maschili e femminili31.
Sulla base di queste riflessioni, si decretò la creazione di un comitato e una società promotrice per la costituzione di ricreatori, una sorta di ‘oratori laici’ “da contrapporre” alle strutture ecclesiastiche. Questi avrebbero dovuto fornire ai giovani svaghi e corsi formativi in un ambiente altrettanto confortevole, sicuro ed economico32. A guidare l’iniziativa fu il senatore Alfonso Sanseverino-Vimercati, figura di spicco della vita politica e sociale locale33.
L’aspetto organizzativo riprendeva esattamente il modello cattolico e non è un caso che avessero gli stessi orari di apertura. Questa decisione mostrava l’esplicita volontà di mettersi in diretta concorrenza con tali strutture. L’elemento che maggiormente esemplificava il carattere laico dell’ente era l’obbligo dei ragazzi a partecipare alle celebrazioni civili, al posto delle consuete festività religiose. A ciò si aggiungeva un’altra distinzione: se negli oratori i premi ai giovani più meritevoli consistevano in libri di preghiere e immagini sacre, nei ricreatori essi erano sostituiti da libri istruttivi e ritratti di uomini illustri34.
La prima struttura fu inaugurata il 16 luglio 1879 all’interno dei locali della scuola municipale Monastero maggiore: la scelta di avvalersi di spazi già arredati e predisposti permetteva di contenere i costi e focalizzarsi su altre necessità.
Nonostante il promettente avvio - risultano iscritti 150 giovani35 - il movimento non conobbe molto successo e i ricreatori non si diffusero all’interno della città. La debolezza dell’iniziativa viene confermata anche da una circolare inviata nel 1892, in cui, costatandone la scarsa riuscita, si chiedeva di trovare una soluzione partecipando attivamente al congresso dei ricreatori laici che si sarebbe tenuto a Pavia36.
Nonostante il tentativo di rilanciare il progetto, la situazione rimase sostanzialmente immutata e i pochi ricreatori aggiuntisi in seguito (circa quattro) furono sostanzialmente emanazione di associazioni e circoli locali non direttamente ascrivibili alla massoneria. Il venir meno del sostegno massonico non significò, però, il completo disinteressamento delle logge in campo educativo.
Proprio nel 1892, infatti, a Milano nasceva la Società Italiana per l’Educazione Laica della Gioventù, a cui la rivista del Grande Oriente dedicò un ampio articolo. Quest’associazione si poneva un duplice obiettivo: da un lato esercitare un controllo sui libri di testo e combattere la presenza cattolica nella scuola, dall’altro promuovere la fondazione di collegi e strutture scolastiche37.
Dal momento che non rimangono tracce di questo sodalizio è da supporre che esso abbia avuto vita assai breve e che l’attenzione dei massoni si sia focalizzata su altri enti in grado di rispondere meglio alle concrete necessità educative.
Nel 1893, infatti, fu fondata la Società Umanitaria, grazie ai dieci milioni di lire devoluti dall’imprenditore di origine ebraica Prospero Moisé Loria. Quest’ultimo, nel suo testamento, aveva richiesto esplicitamente di avviare un ente filantropico, con lo scopo di aiutare i poveri fornendo loro “appoggio, lavoro e istruzione”38. La massoneria milanese non sostenne immediatamente il progetto e i massoni presenti sia nel comitato promotore, sorto per esaudire le sue ultime volontà, sia nel primo consiglio direttivo (il già citato Nulli, de La Ragione, Angelo Tondini, della Carlo Cattaneo, e Osvaldo Gnocchi Viani), sembrano aver partecipato per convinzioni personali più che per una direttiva decisa tra i ‘fratelli’ lombardi.
I primi anni della società furono caratterizzati dalla presenza di uomini legati al socialismo e al movimento operaio (si pensi al presidente Guido Majno), elemento che portò le forze dell’ordine a guardare con sospetto le attività della scuola, considerata luogo di diffusione di idee sovversive. I tumulti milanesi del 1898 fornirono un buon motivo per estromettere la vecchia dirigenza e porre l’istituto sotto il controllo della congregazione di carità comunale39.
Dopo un lungo processo intentato dai vecchi amministratori, l’Umanitaria poté, nel 1901, ritornare indipendente e riprendere le sue attività.
Con l’anno seguente, tutte le diverse sezioni ripresero il loro regolare funzionamento focalizzandosi soprattutto sull’assistenza a tutte le categorie in difficoltà, dai disoccupati ai working poors. Sorsero, pertanto, uffici di collocamento, assistenza legale e medica, segretariati a sostegno dei migranti e una Casa del Lavoro. Quest’ultima, istituita solamente nel 1907, offriva, per un numero limitato di giorni, un posto dove dormire ai giovani alla ricerca di un lavoro.
Importante fu anche l’attività edilizia di cui l’Umanitaria si fece promotrice: nel 1905, infatti, essa provvide a edificare un gruppo di case popolari, in cui accogliere, a prezzo contenuto e in un ambiente igienico, famiglie con redditi molto bassi40.
La formazione professionale rappresentò il punto di forza. I laboratori gestiti dall’associazione erano indirizzati a operai con almeno tre anni di esperienza lavorativa e desiderosi di migliorare le proprie conoscenze. L’intento era di trasformare operai generici in quadri altamente qualificati41. Tra gli insegnamenti previsti vi erano anche attività più artigianali quali la lavorazione del legno, del ferro, la decorazione di stoffe e l’oreficeria.
Discorso a parte merita la Scuola del Libro. Nato nel 1904, questo laboratorio tipografico assolveva a un duplice scopo: preparare addetti per l’industria della carta e stampare libri pervasi da uno spirito moraleggiante.
Nel 1910, i rapporti dell’Umanitaria con il mondo socialista riformista si strinsero sempre più con la fondazione della Casa del Popolo, un centro di raccolta e coordinamento di tutte le iniziative nate per aiutare i lavoratori della città lombarda (Lega Nazionale delle Cooperative, Federazione delle Società di Mutuo Soccorso e Camera del Lavoro)42.
Gli anni successivi alla prima guerra mondiale furono contraddistinti dalla presidenza di Luigi Della Torre, esponente della massoneria. Tuttavia, questa novità non rappresentò una radicale trasformazione dell’associazione perché il peso delle logge rimase abbastanza circoscritto all’interno del consiglio di amministrazione. Ciò sembra far supporre che le officine milanesi preferissero fornire un contributo economico e ‘morale’, piuttosto che gestire direttamente la struttura. Il 1924, però, avrebbe radicalmente stravolto gli equilibri interni: la direzione sarebbe stata sciolta e sostituita d’autorità da uomini di fiducia del fascismo ormai al potere43.
Roma
La città eterna, fino al 1870 capitale dello stato pontificio, ebbe una vita massonica difficilmente quantificabile nel decennio 1860-1870, perché i ‘fratelli’ dovevano sfuggire al ferreo controllo della polizia. La loggia Fabio Massimo, ad esempio, viveva nella clandestinità, tanto che i membri erano coperti da segreto e indicati con numeri.
Ciononostante, non appena Roma fu conquistata e occupata dalle forze sabaude, i massoni si palesarono pubblicamente e iniziarono a dare il proprio contributo alla vita della città. La presenza del Papa e la capillare diffusione di organizzazioni ed enti ecclesiastici costituivano un ostacolo non da poco: un successo, però, avrebbe avuto un forte significato simbolico.
Il primo tentativo risale al 1871. Un gruppo di giovani, tra cui spiccava la figura dell’ingegnere Mario Moretti (della loggia Giordano Bruno), diede, infatti, vita a una biblioteca popolare44. L’anno seguente nasceva la Società Didascalica Italiana che si poneva come obiettivi l’educazione del popolo, la fondazione di asili e la creazione di un’altra biblioteca circolante. Per evitare polemiche e dissidi che indebolissero la sua azione, lo statuto proibiva esplicitamente “discussioni politiche o religiose”45.
Grazie al supporto finanziario di alcune società operaie e delle logge Universo, Tito Vezio e Uguaglianza, nel 1875 vide la luce la Lega Romana per l’Istruzione del Popolo46. Anche questa associazione si proponeva la netta separazione tra morale e religione, l’istituzione di premi in denaro per gli alunni e le famiglie, in modo da alleviare le difficoltà economiche dei nuclei più deboli. Altro settore in cui la società diede il proprio contributo fu la realizzazione di corsi per lavoratori adulti, curati da professori universitari sensibili e disposti a impegnarsi nel sociale (si pensi all’intellettuale Antonio Labriola)47.
Per garantirsi il pieno controllo dell’istituzione nel comitato direttivo furono insediati l’assessore (e ‘fratello’) Biagio Placidi, in qualità di presidente, il già citato Moretti e Luciano Morpurgo (che da lì a poco sarebbe entrato in massoneria e diventato anch’egli presidente della Lega)48.
Il passo successivo fu l’istituzione di Commissioni all’interno dei quartieri della capitale che, però, non conobbero molta fortuna. Le limitate capacità finanziare costrinsero, pertanto, a ridurre il numero dei componenti di questi comitati ad un solo per rione, nominato direttamente dalla dirigenza.
Grazie a questa ristrutturazione, si riuscì ad ottenere un primo importante risultato con la creazione di una scuola professionale maschile nel Rione Ponte (1876). L’istituto accoglieva giovani dai sette anni in su e li formava al mestiere di falegname, ebanista e calzolaio. Nonostante la matrice laica, il neopresidente dell’ente, Enrico Annibaldi, non volle abbandonare le consuetudini, lasciando campeggiare nelle aule l’abituale immagine di Cristo in croce49.
Questa iniziativa rappresentò l’unico apporto concreto sul piano educativo fornito dalla Lega, poiché il resto dell’attività fu limitato a manifestazioni in favore dell’obbligo scolastico o a sostegni economici agli alunni e alle loro famiglie.
Stante gli scarsi successi, la massoneria romana decise di indirizzare il proprio impegno appoggiando l’Asilo Infantile Umberto I, sorto nel 1878 e, almeno inizialmente, di matrice religiosa. Nel giro di breve tempo, i ‘fratelli’ iniziarono a infiltrarsi all’interno dell’istituto, per poi giungere al pieno controllo dell’ente sotto la presidenza di Achille Levi (nei primi anni del Novecento). Anche in questo caso in prima fila ci fu la loggia Universo, che contribuì finanziariamente sin dal 1882 seguita, a partire dal 1907, anche dalla giunta del Grande Oriente. A differenza da quanto accaduto in precedenza con la scuola del Rione Ponte, si volle dare all’istituto un carattere laico più marcato, all’insegna di parole chiave della retorica massonica, quali patria e umanità50.
Un modello simile fu seguito dalla Scuola Popolare Serale di Perfezionamento. Rivolta a giovani operai, essa, oltre a fornire istruzione elementare e formazione professionale, aveva anche una sorta di corso di formazione civica, intitolato “Doveri umani e cittadini”51.
Il momento di svolta avvenne negli anni ’90 dell’Ottocento: da questo momento l’azione sul versante educativo smise di essere frutto di iniziative di singoli esponenti e logge e si fece molto più articolata, con la creazione di numerosi educatori e ricreatori.
Se il primo educatorio nacque nel 1887, su input del Comune, nel corso di breve tempo la validità di questa offerta formativa fu riconosciuta e fatta propria dai massoni che ne istituirono e sostennero finanziariamente diversi. Incrociando i dati forniti dal saggio di Giancarlo Rocca con l’analisi dell’appartenenza massonica degli apparati dirigenti (grazie al registro matricolare del Grande Oriente d’Italia), è stato possibile individuare con certezza dodici strutture (vedi Fig. 1). Si tratta di un numero molto significativo, corrispondente al 50 % di tutte quelle istituite a Roma.

Questi educatori, sorti tra il 1892 e il 1912, videro la partecipazione attiva di pressoché tutte le logge presenti nella capitale (Giuseppe Mazzini, Goffredo Mameli, La Regola, Lira e Spada, Propaganda massonica, Rienzi, Roma, Romagnosi, Tito Vezio, Universo, Venti Settembre), con ruoli di primo piano affidati ai ‘fratelli’. Esaminando più nel dettaglio i risultati della ricerca, emerge come le officine maggiormente impegnate nel sostenere queste iniziative furono la Rienzi, la Roma e l’Universo e che, nel corso del tempo, si venne a formare in una sorta di ragnatela, che copriva la capitale: pressoché tutti i quartieri della città avevano un educatorio a cui fare riferimento.
È importante, poi, sottolineare la presenza di diversi elementi di primissimo piano della dirigenza nazionale che si impegnarono personalmente nella gestione delle strutture, segno del comune sentire che univa gruppo dirigente e membri locali. Emblematico è il caso dell’Educatorio Roma. Fondato nel 1901, ebbe tra i promotori le più importanti personalità del Grande Oriente d’Italia: lo scultore Ettore Ferrari (futuro Gran Maestro), il deputato Salvatore Barzilai (personalità di spicco del partito repubblicano), il medico Achille Ballori (futuro Supremo Gran Commendatore del Rito Scozzese Antico ed Accettato) e il senatore Antonio Cefaly (vicepresidente del Rito Simbolico Italiano)52.
Gli educatori erano solitamente divisi in sezioni maschili e femminili (fa eccezione l’Alberico Gentili, dove le classi erano miste), che accoglievano bambini provenienti da famiglie povere nella fascia compresa tra i 6 e i 10 anni. I giovani vi si recavano dopo le 14:30, ottenendo un pasto gratis per poi restarvi fino alle 18:00. All’interno dei locali erano previsti corsi di canto, educazione civica, lavori manuali oltre ad esercizi ginnici e svaghi53.
Parallelamente agli educatori, furono istituiti dei ricreatori, sull’esempio di quanto era accaduto a Milano. Nel 1883 si tennero le prime discussioni sull’opportunità di aprire queste strutture anche nella capitale. Il dibattito non rimase limitato alle logge cittadine (la Universo si schierò decisamente a favore)54 ma raggiunse anche le sedi istituzionali che tennero un’apposita riunione il 4 novembre55. Nonostante il parere più che favorevole, si dovettero attendere dieci anni prima che si realizzasse la prima struttura. Nel 1893 nasceva il ricreatorio Enrico Pestalozzi. Nel corso del tempo si affiancarono poi altre strutture, fino a raggiungere quota 17 (vedi Fig. 2). Si tratta, anche in questo caso, di una cifra importante perché rappresenta circa il 60 % di tutti quelli fondati tra il 1880 e il 1920.

A differenza di quanto accadeva negli educatori, le classi erano esclusivamente maschili e le poche eccezioni prevedevano una rigida suddivisione in base al sesso perché i ragazzi accolti erano nel pieno sviluppo sessuale, trovandosi nella fascia di età compresa tra 10 e i 18 anni. I ricreatori erano aperti tra le 18:00 e le 21:00 tutti i giorni della settimana, compresa la domenica. Quest’ultimo dato accentua la convinzione che si trattasse a tutti gli effetti di un’opzione laica in diretta concorrenza con la vita parrocchiale.
Il ricreatorio era strutturato usando forma e comportamenti di tipo militare. Ogni struttura aveva una propria divisa, una propria bandiera e una propria banda musicale. Il Ricreatorio popolare Adelaide Cairoli, ad esempio, aveva come uniforme una camicia rossa (a ricordo degli uomini che, con Garibaldi, avevano conquistato il sud dell’Italia), mentre il Ricreatorio popolare Duca degli Abruzzi aveva scelto quella dei bersaglieri (corpo militare del Regio Esercito). Grande importanza era data all’esercizio fisico, con molte ore dedicate alla ginnastica, al ciclismo, al tiro a segno e ai lavori manuali. I corsi prevedevano, inoltre, lezioni di canto, storia, morale, fisica e chimica56.
Pur essendo, nei fatti, una proposta educativa alternativa a quella cattolica, i ricreatori evitarono accuratamente di affermare in maniera troppo esplicita la propria laicità, nella paura di perdere ragazzi e finanziamenti. Uno dei rarissimi casi è il Ricreatorio femminile Anita Garibaldi, il cui statuto esplicitamente sanciva il carattere laico dell’istituzione57.
Nonostante la capillare presenza all’interno del territorio, la richiesta e la necessità di fornire un’istruzione popolare al maggior numero possibile di giovani rimaneva alta.
Per tale motivo, su iniziativa dell’avvocato Giovanni Antonio Vanni (membro della Universo e futuro presidente del già citato Ricreatorio Cairoli), nel 1905 fu creata la Società per l’Istruzione Popolare Gratuita. Dotata di una biblioteca circolante e di una sala lettura, essa non si limitò a organizzare conferenze ma diede vita a scuole serali per commessi e agenti di commercio e per addetti alle industrie58.
Pochi anni prima era sorta l’Università Popolare Romana. Basandosi su quanto già realizzato a Torino, le logge locali decisero, nel 1901, di aiutare la diffusione di questo particolare formula educativa anche nella capitale. A promuovere l’iniziativa in campo profano fu l’Associazione fra i Liberi Docenti Romani, guidata dal ‘fratello’ Nunzio Nasi (affiliato alla Roma). Lo stesso Grande Oriente decise, due anni dopo, di sostenere finanziariamente l’istituto59.
I corsi si rivolgevano principalmente alla piccola e media borghesia, soprattutto impiegati e commercianti. La massoneria fornì anche numerosi insegnanti che si prestavano a titolo gratuito: Gustavo Canti (Vita e Fede di Alessandria), Arturo Galanti (Universo), Vittorio Racca (Carlo Pisacane) e Teresio Trincheri (Roma).
Infine, si pensò di costruire una vera e propria ‘scuola massonica’. Lo stesso Grande Oriente si attivò in tal senso, lanciando una campagna per raccogliere le 60.000 lire previste per far partire il progetto. Nel 1907, pertanto, veniva inaugurato l’Istituto Privato di Educazione Media Galileo Galilei60.
A direttore della struttura fu scelto Alcide De Angelis, della Universo (in carica sino al 1920), e come segretario Gudo Franzino, della Lira e Spada. Lo statuto dell’associazione dichiarava esplicitamente la propria indipendenza da “ogni vincolo religioso e politico”61. Grazie al riconoscimento ministeriale, essa divenne una scuola privata pareggiata in cui i ragazzi che vi si iscrivevano potevano scegliere tra percorsi didattici molto diversi a seconda della volontà e disponibilità economica delle famiglie. La scuola, infatti, comprendeva ginnasio, liceo e istituto tecnico, a cui si aggiungevano ulteriori corsi serali e seminari estivi62.
Conclusioni
Conviene soffermarsi un momento a fare delle considerazioni per fare un bilancio di tutte queste iniziative filantropiche.
Innanzitutto emerge una certa disomogeneità di fondo: i progetti concepiti o sostenuti dalle logge furono parecchi ma non fu individuato un modello da applicare su scala nazionale. Si prenda, ad esempio, il caso dei ricreatori: se a Milano essi non conobbero mai un grande successo, a Roma, invece, ottennero un buon riscontro, a dimostrazione di quanto ogni realtà locale fosse molto diversa e avesse necessità peculiari. Gli stessi vertici del Grande Oriente, d’altra parte, pur ribadendo costantemente la necessità di diffondere la cultura, non offrirono chiare indicazioni su come comportarsi, lasciando massima libertà alle singole officine.
Discorso a parte merita la formazione professionale. Le scuole che si preoccuparono di insegnare a giovani e adulti un mestiere rispondevano perfettamente alle necessità di una società in profondo mutamento e in via di industrializzazione. Il diffondersi della concezione borghese del lavoro come veicolo di ascesa sociale contribuì alla fortuna di questi istituti che godettero di una lunga vita.
Gli esponenti locali, d’altra parte, si rendevano perfettamente conto delle difficoltà nel finanziare e amministrare in solitudine questi enti e, pertanto, in diversi casi preferirono cercare la collaborazione con élite cittadine e componenti politiche provviste visioni del mondo differenti (si pensi all’Istituto Nazionale per le Figlie dei Militari o alla Società Umanitaria). Fu un dialogo non semplice e che dovette far scendere la massoneria a compromessi, limitandone la spinta laica e il carattere innovativo.
Con la definitiva presa di potere del fascismo nel 1925 tutto questo patrimonio di esperienze ed esperimenti sarebbe poi stato inglobato all’interno delle strutture corporative del nuovo regime.
Mario Sedevacantista Colucci condivide questo
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Diodoro
Da dove è presa la lunga citazione?
Diodoro
Grazie mille
Oremus pro
A che punto sono? La massoneria è «capo» dell'arm…
🔴 20 Soffocate le scuole cattoliche, impedendo le vocazioni di suore. Rivelate alle suore che sono lavoratrici sociali sottopagate e che la Chiesa è in procinto di eliminarle. Insistete che l’insegnante laico cattolico riceva l’identico stipendio di quello delle scuole governative. Impiegate insegnanti non cattolici. I Sacerdoti debbono ricevere …Altro
A che punto sono? La massoneria è «capo» dell'arm…

🔴 20 Soffocate le scuole cattoliche, impedendo le vocazioni di suore. Rivelate alle suore che sono lavoratrici sociali sottopagate e che la Chiesa è in procinto di eliminarle. Insistete che l’insegnante laico cattolico riceva l’identico stipendio di quello delle scuole governative. Impiegate insegnanti non cattolici. I Sacerdoti debbono ricevere l’identico stipendio come i corrispondenti impiegati secolari. Tutti i Sacerdoti debbono deporre la loro Veste Clericalee le loro Croci così da poter essere accettati da tutti. Rendete ridicoli coloro che non si adeguano.