"The Passion of the Christ", un capolavoro. Perchè questo Film è così straordinario? Qual è il suo segreto?...

Dentro la regia
Fiumi di parole si sono spese per il film The Passion di Mel Gibson, le opinioni sfavorevoli hanno, a tratti, superato quelle favorevoli eppure, nel momento stesso in cui ci si pone di fronte a questa pellicola, il chiacchiericcio si spegne, il film parla diritto al tuo cuore: rimani tu di fronte al Mistero.

Aletheia, verità, è l'indicazione data dallo stesso regista per leggere correttamente il film. Verità nel suo senso più direttamente ancorato alla storia, all'accadimento: aletheia nel senso proprio del non dimenticare.
Il film registra infatti lo scoccare di un'ora che è, appunto, l'ora della verità, l'ora dell'Alleanza nel Sangue dell'Agnello. Un'ora alla quale il demonio aveva dato appuntamento a Cristo, dopo averlo tentato là nel deserto di Giuda.

L'ora
In quest'ora, se da un lato si misura la lotta tra il bene e il male, dall'altro si compie anche il giudizio tra la verità e la menzogna, giudizio a cui nessun uomo può scappare. L'obiettivo della cinepresa indaga instancabilmente dentro il corso degli eventi, dentro i volti e i gesti mettendo a nudo la verità di ogni cosa. Ma l'occhio che scruta dietro l'obiettivo non è quello dello spettatore, né quello di un narratore, bensì è l'occhio stesso di Cristo, è l'occhio del Padre. Forse per questo ci è dato di vedere il Maligno laddove gli uomini non lo vedono. Magistralmente Gibson riesce a dare l'idea del compiersi di un giudizio tra verità e menzogna che non viene decretato da Dio ma dall'uomo stesso. Ciascun volto inquadrato, ciascun personaggio filmato dalla telecamera si pone liberamente di fronte a Cristo in un modo o nell'altro, abbracciando la verità rischiosa o una menzogna qualsiasi, purché rassicurante.
Nel film, non c'è, dunque, traccia di antisemitismo, né si vuole dipingere i romani a tinte fosche, viene piuttosto messa in luce la verità che c'è nel cuore di ogni uomo quale che sia la lingua, la razza, il popolo, la nazione a cui egli appartiene.

Chi è il Padre
Fin dalla prima scena, quella nell'orto degli ulivi, siamo così ricondotti ad un principio in cui, in un altro giardino, il male, il tentatore ha avuto la meglio sull'uomo. Satana non sa chi sia veramente Cristo poiché lì, nell'orto, gli domanda "chi è tuo Padre?".
"Chi è tuo Padre" è la domanda a cui risponde il film, è la domanda a cui Cristo stesso risponde amando dentro al più atroce dei delitti.
Satana non conosce fino in fondo la verità su Gesù benché sospetti poiché gli dice ancora: chi sei tu? E di nuovo: un uomo non può portare il peso del peccato di tutto il mondo. Fin dall'inizio però, un segno inequivocabile viene dato allo spettatore più accorto, circa l'identità di Gesù: mentre Cristo prega prostrato, il serpente antico lo insidia ma egli alzatosi gli schiaccia la testa col calcagno. Si compie così quel proto evangelo scritto nelle prime pagine del Genesi: "Porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe, questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno." (Gen 3, 15)

La Madre
Gesù è Colui che, nato da donna, avrebbe schiacciato la testa al serpente nel tempo fissato. Maria, la Madre di Gesù, appare veramente nel film come la nuova Eva, Madre della vita, primizia dei credenti.
Durante l'arresto di Gesù, una scena la tratteggia con grande efficacia: come la sposa del Cantico dei Cantici ella cerca il Figlio, lungo la notte, per le strade e per le piazze, seguita da Giovanni e dalla Maddalena. Questi ignorano dove li stia portando e forse dubitano della fruttuosità di una simile ricerca, ma lei, la Madre è guidata dal cuore e dalla preghiera. Ad un tratto infatti, la corsa si arresta, Maria si accascia al suolo, appoggia le mani e il capo alla terra per ascoltare: ho cercato l'amato del mio cuore l'ho trovato e non lo lascerò (Ct 2,4).
L'obiettivo ci lascia penetrare nel suolo e lì sotto, in un antro buio, Cristo in catene, attende di essere processato.

Solo Maria poteva rilevarne la presenza, lei a cui né la carne né il sangue - che pure, come dirà lei stessa più tardi sotto la croce, è lo stesso sangue di Cristo - l'hanno rivelata, ma il Padre. Maria incarna la risposta più immediata e generosa dell'uomo di fronte al dono di Dio.

Giuda
Non così Giuda la cui vicenda segna nel film il punto più alto della tensione tra il bene e il male, tra lo sguardo di Cristo e quello di Satana.
Durante l'arresto Cristo viene spinto per scherno dai soldati fuori dal ciglio della strada così da precipitare nel vuoto, dentro a un dirupo, sorretto solo dalle catene. Lì misteriosamente e provvidenzialmente incontra lo sguardo di Giuda. È un Giuda dagli occhi smarriti e confinato dentro al suo inferno fra tenebre e presenze maligne, come gli occhi feroci di belva che lampeggiano alle sue spalle. Cristo lo raggiunge anche lì, testimoniando così la sua volontà di andare a recuperare l'uomo anche negli inferi. Cristo lo raggiunge, ma invano, il traditore divorato dal rimorso non approda alla pace.
Inizia per quest'ultimo una corsa disperata che si popola progressivamente di ragazzetti beffeggianti i quali, personificando le suggestioni del male, lo conducono nella valle di Hinnom (La Geenna).
Con grande finezza e con la forza dell'ispirazione, Gibson rievoca il secondo libro dei Re dove si narra del profeta Eliseo schernito da una ciurma di bambini, quarantadue dei quali, per aver disprezzato il profeta, periscono miseramente sotto le fauci di due orse (2 Re 2, 23-25 ). Nello stesso libro, poco sopra (2 Re 1, 2), Beelzebul, Principe dei demoni, viene ricordato con il nomignolo dispregiativo di Baal zebub, cioè Signore delle mosche. Così Giuda, giunto nella Geenna, scomparsi nel nulla i bambini che lo assillavano, si ritrova sommerso da uno sciame di mosche. È nel regno di Beelzebul.
Una corda legata attorno a una carcassa di cammello in putrefazione gli offre lo spunto per il tragico gesto. La telecamera inquadra il traditore appeso ad un ramo e sullo sfondo il pinnacolo del tempio. Il luogo - secondo Luca - dell'ultima tentazione di Gesù dove Satana aveva promesso di tornare all'ora stabilita.

Eucaristia - croce
L'ora delle tenebre è comunque l'ora dell'alleanza. Quel pane spezzato, quel vino versato nell'ultima Cena sono il corpo e il sangue di Gesù offerti nel suo martirio.
Ultima cena, passione, Eucaristia e croce, costituiscono l'intreccio continuo del film. La finezza teologica di Gibson impressiona.
Già nel primo flashback si scorge Gesù falegname che, intento a saggiare la robustezza della tavola appena costruita, vi si adagia di schiena con le braccia allargate a forma di croce. Una tavola, un legno, la croce. Il gesto non sfugge a Maria che, con interrogativi e timori nel cuore, incrocia lo sguardo di Gesù.
È il primo di una lunga serie di sguardi che con silenziosa eloquenza narra la partecipazione piena e totale della Madre alla missione del Figlio.

Altri flashback tessono un'invisibile trama tra Passione e Ultima Cena.
Durante la flagellazione, Cristo, stremato, si accascia al suolo e, aprendo gli occhi vede il piede di uno dei suoi flagellatori. Il ricordo immediato va a poche ore prima quando, all'inizio della cena pasquale, si mise il grembiule e lavò i piedi ai suoi. La valenza simbolica di quel gesto ora si compie e insieme si rivela in tutta la sua drammaticità. Ancora: Cristo è davanti a Pilato che, dopo aver inutilmente tentato di salvarlo dalla morte, chiede un catino e si lava le mani. Mentre l'acqua scende generosa sulle mani del romano, Gesù ricorda le abluzioni dell'ultima cena.
Così di volta in volta Cristo rinnova l'offerta e ha il coraggio, quando la condanna è ormai decisa, di trascinarsi spontaneamente verso la croce e abbracciarla. Follia per qualcuno - che difatti grida: che fai abbracci la croce? - ma per Cristo è adesione profonda al progetto del Padre che è progetto d'amore per l'umanità.

La via del Calvario se, da un lato, segna il punto più caotico e disorientato dello scatenarsi del male, dall'altro mostra l'amore di Cristo per l'uomo. Attorno al Signore si accalca la folla dalla quale emergono volti urlanti, sguardi malevoli, dita puntate, proprio come un quadro di Bosch. Però a tratti, tra il vociare confuso, si fanno largo figure silenziose e benevole, come la Veronica, come il centurione compassionevole, come il Cireneo. Figure straordinarie e scene di grande poesia che rivelano lo spessore di quegli eventi drammatici: qualcuno ha capito, qualcuno ha creduto.
L'amore non abbandona mai il Signore Gesù. Proprio nel mezzo della condanna, quando ancora può reggersi in piedi, solleva lo sguardo e una colomba volteggia nel cielo, eloquente presenza del Padre: questi è il Figlio mio Unigenito, nel quale mi compiaccio. E questa possente e silenziosa presenza d'Amore s'incarna via via in umili volti.
Durante il processo, ad esempio, Claudia e Pilato ingaggiano un continuo ed eloquente scambio di sguardi, nel tentativo di salvare il Condannato. Ancora, alcuni tra i sacerdoti e gli scribi abbandonano il pretorio disgustati dalla procedura di quel "processo" infame.
Di commovente bellezza è la scena dell'incontro tra Gesù e sua Madre. Maria è lontana dalla croce quando incomincia la penosa salita verso il Calvario. Chiede allora a Giovanni di aiutarla a raggiungere il Figlio. I due, seguiti dalla Maddalena, si gettano così in una corsa affannosa lungo le strette calle di Gerusalemme fino a che riescono a sorpassare il corteo. Maria allora si arresta accanto ad un muro, che pare incurvarsi tanto è disumana la scena: sotto la croce Gesù, già sfinito per la flagellazione subita, si trascina penosamente.
Pare impossibile alla Madre che quello sia il "suo" Gesù e alla sua mente si affacciano i ricordi di Nazareth, quando il Figlio Bambino dipendeva in tutto da lei. Proprio in quel mentre Cristo, vinto dal peso della croce, cade. Ricordo e realtà si sovrappongono. Maria rievoca una caduta del piccolo Gesù e rivede la sua corsa per sollevarlo e abbracciarlo: immediatamente, incurante della folla e della guardie, corre verso la croce e solleva il Figlio. Per un istante tutto è fermo, il dolore e lo strazio dimenticati, l'incontro di quei due sguardi sprigiona una pace e un amore incredibili. Ma il cammino deve continuare, la realtà torna ad imporsi nella sua brutalità. Cristo si alza faticosamente, guarda la Madre e dice: Non temere, ecco, faccio nuove tutte le cose.

Questo rapporto intenso e profondo che supera quello naturale di una Madre col proprio figlio e si colloca invece sul piano della fede e carità di Dio, soggiace a tutta la passione. Gibson è riuscito a consegnarci un'immagine bella e pulita di Maria, quale prima e più perfetta discepola del Signore o, per dirla con un termine tanto discusso, quale corredentrice. Cristo avrebbe potuto compiere tutto da solo perché liberamente e con amore assoluto ha abbracciato la croce, ma era necessaria anche la libera adesione dell'uomo all'opera compiuta dal Figlio dell'uomo: "a quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio" (Gv 1,12).

Maria è la primizia di questi figli di Dio, ma non è la sola. Dietro di lei si solleva timida, ma progressiva, la risposta di altri, di molti altri. Forse anche la nostra.
A quella di Maria segue la risposta tormentata di Pietro, il primo degli apostoli che, vinto dalla paura e dallo sconcerto, tradisce più volte il suo Maestro. Pietro che, come Giuda, incontra lo sguardo di Gesù ed è pianto amaro e rimorso, ma che imbattutosi nella Madre ha il coraggio di inginocchiarsi e confessare (a una donna!) il proprio peccato. Ad Jesum per Mariam, assicura la tradizione: Pietro fu il primo che nello sguardo di lei ritrovò pace e perdono.
Oppure la risposta di un pagano, il centurione che, impressionato dall'indomito coraggio di questa donna, chiede conto di lei. Saputo che è la Madre del condannato, quando tutto è compiuto, sotto la croce, dopo aver spezzato le gambe ai due ladroni, esita non poco davanti a Gesù. Guarda la Madre e poi il Figlio e, nella segreta speranza di risparmiarlo, grida: mortus est. Ma il suo superiore gli getta una lancia affinché si accerti della morte del crocifisso. Il soldato romano impugna la lancia, ma ancora indugia con lo sguardo sulla Madre e par cogliere l'attimo in cui questa distoglie gli occhi dal Figlio, pare volerla risparmiare da questo ultimo e doloroso atto inferto a quel corpo straziato e tira il colpo. L'arma penetra il costato e ne scaturisce uno zampillo di acqua e sangue che investe in pieno il centurione. Costui cade in ginocchio e pieno di compunzione tace, ma tutto di lui parla: veramente costui era il Figlio di Dio.
Gibson narra così il primo battesimo della storia della Chiesa, profezia di quell'espansione che esso avrà nel mondo di allora: l'impero romano.

II legame teologico tra dolore e amore, sacrificio e vita, altare eucaristico e altare della croce è reso ancora con grande efficacia da Gibson attraverso gli ultimi puntuali flashback.
Dopo che Cristo viene inchiodato barbaramente alla croce compiendo con puntuale esattezza il salmo 22: sono slogate tutte le mie ossa […] hanno forato le mie mani e i miei piedi (vv.15.17), la croce viene innalzata. Il corpo di Gesù svetta alto nel cielo e, in dissolvenza, ecco l'interno del cenacolo dove Cristo, in mezzo ai suoi, innalza il pane per la benedizione dicendo: questo è il mio corpo. E ancora quando la croce è ormai piantata solidamente sul Golgota e il sangue di Cristo scende copioso a terra ecco di nuovo, in dissolvenza, sollevarsi il calice della nuova alleanza nel corso dell'ultima cena: questo è il mio sangue.

La natura
Nel film, oltre ai silenzi, agli sguardi, anche la natura occupa un posto di rilievo e possiede una sua eloquenza. La creazione non fu, per Gibson, teatro inconsapevole dell'evento dell'Incarnazione, ma vi partecipò vibrando al passaggio del Redentore e attendendo lei pure di essere liberata dalla caducità per entrare nella gloria dei figli di Dio.
Gli ulivi del Getsemani e l'albero di Giuda, le pietre del Litostrato e quelle che, sotto la croce, accolgono il sangue del Redentore; la colomba che aleggia su Gesù prima della passione e l'uccello rapace che acceca il cattivo ladrone; il plenilunio della notte dell'arresto e l'addensarsi delle nubi, il vento e il terremoto che si succedono dopo la morte di Gesù: tutto partecipa attivamente e silenziosamente allo svelarsi dell'ora.

Il finale
L'ora si compie, la lotta con Satana si consuma fino all'ultimo istante, dall'alto della croce Cristo è segno di contraddizione: alle maldicenze del malfattore si oppongono le parole di conforto del buon ladrone; sotto la croce si alternano gli scherni degli astanti e lo strazio di Maria, la presenza amorosa di Giovanni e della Maddalena e quella inquietante del demonio. Già lungo la via dolorosa Satana si era confuso tra le pie donne e aveva mostrato a Gesù il bimbo che portava in braccio. Un bimbo grottesco, vecchio eppure infante, l'Anticristo, invecchiato nel male eppure sempre pronto a rinascere per inquinare la storia con la sua presenza. Ma la vittoria è vicina Cristo: consegna Giovanni a Maria, il figlio-discepolo alla donna-madre, riportando così l'umanità un nuovo principio.

Tutto dunque è compiuto: dato un forte grido Cristo effonde lo Spirito sulla terra e muore. L'obiettivo della telecamera s'innalza vorticosamente e dalle nubi, ma certo da oltre le nubi, una goccia d'acqua gravida di dolore e compassione si stacca e cade. È l'occhio del Padre che velato di lacrime, ora piange. All'immagine del Calvario visto dall'alto, ormai immobile e quieto si oppone un'altra immagine, quella di Satana sconfitto. Lo sguardo del Padre lo vede e riecheggia la parola di Osea: dov'è o morte la tua vittoria dov'è o morte il tuo pungiglione? Ora anche Satana sa: colui che è stato crocifisso è il Verbo di Dio. Satana e il suo mondo infernale si contorce dallo spasmo, la scena vista sempre dall'alto gira vorticosamente e tutto si spegne in un grido. È la fine.

Dopo lo scatenarsi delle forze della natura, il terremoto che spacca in due il Santo dei Santi. Cristo è calato dalla croce tra Maria e Giovanni, Nicodemo e la Maddalena. La Madre lo accoglie e lo addita. C'è nella scena la stessa maestosa serenità delle tele di Caravaggio. Poi il buio.

Fedele testimone dello sguardo di Cristo l'obiettivo della telecamera registra le emozioni della risurrezione da dentro il sepolcro.
Dapprima solo roccia e oscurità, poi il silenzio è rotto dall'aprirsi lento e inesorabile della pietra sepolcrale. Ed ecco il sudario, investito di una luce bianchissima soprannaturale, afflosciarsi. È il telo sindonico l'unico testimone di un evento che ha cambiato la storia e il computo degli anni, ma che pure ha lasciato tutto intatto, tutto di nuovo in mano alla libertà e responsabilità degli uomini.
Il lenzuolo è ormai vuoto, un profilo emerge dal buio: Cristo appare di una bellezza divina. Ma è solo un attimo: subito s'intravede la gamba del Risorto nell'atto di alzarsi e uscire e la mano che porta i segni dei chiodi, poi di nuovo il buio e il silenzio.

La parola fine lascia quasi disorientati, lo si vorrebbe rivedere vivo, risorto nella luce del sole e ci si domanda dov'è. Egli è qui, nei volti di quanti, usciti dalla proiezione del film ne restano turbati e affascinati. Inutile cercarlo dentro alla fiction di una pellicola che è pur sempre e solo strumento: Egli è accanto a te, è vivo nel volto della Chiesa, Egli è nel tuo stesso volto.

Fonte:
www.culturacattolica.it/…/the-passion-un-…
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