Pistole ad acqua e false soluzioni.

Radio Spada, ormai da tempo, sottolinea come tra i migliori alleati involontari del bergoglismo si trovino tutta una serie di personaggi e realtà che, “arrivati da poco” e molto inesperti nel maneggiare questioni connesse alla crisi nella Chiesa, propongono idee bizzarre, analisi monche, quadri storici caratterizzati da ampie amnesie, vie di fuga dai contorni onirici. Per far piazza pulita di ricostruzioni sbagliate e false soluzioni abbiamo dato dalle stampe due libri che hanno destato interesse e portato buoni frutti: Golpe nella Chiesa e Parole chiare sulla Chiesa. Ora, su una recente iniziativa del mondo “benevacantista”, pubblichiamo questo intervento inviatoci dall’Avv. Guido Ferro Canale.
di Guido Ferro Canale.

In un recente articolo è stata resa nota una nuova iniziativa per il riconoscimento del fatto che Benedetto XVI non avrebbe rinunciato. Mi ha colpito, purtroppo in negativo.

Consideravo poco utile, in verità, tornare su un argomento già sviscerato da più parti e dove gli animi mi sembrano troppo appassionati, o troppo incaponiti, per un confronto concreto; avevo, inoltre, la netta impressione che si stesse scivolando su posizioni sempre peggiori, p. es. a proposito della (in)validità delle SS. Messe celebrate “una cum Francisco”. Ma quest’ultima enormità è tale che mi sento costretto ad intervenire, nella pur flebile speranza di aprire finalmente gli occhi almeno a qualcuno.

Si scrive dunque di avere, “nella mattina di giovedì 6 giugno 2024, […] tramite un legale, […] depositato presso il Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, una ‘Istanza per il riconoscimento della nullità dell’abdicazione di papa Benedetto XVI’. Secondo i ‘Diritti e i doveri’ dei fedeli, infatti, qualsiasi battezzato può presentare al foro ecclesiastico competente delle legittime richieste di chiarimenti.” (grassetti nell’originale).

Queste poche righe bastano a dimostrare che, almeno per come è presentato, codesto atto è sprovvisto del benché minimo fondamento giuridico. Non dico nel merito, ma proprio nell’impostazione: con tutto il rispetto per chiunque l’abbia scritto, sembra che si sia dimenticato che Chiesa Cattolica e Santa Sede sono una cosa, mentre lo Stato della Città del Vaticano (SCV) un’altra.

L’utilizzo ambiguo, nel linguaggio corrente, dell’espressione “il Vaticano” può far dimenticare, quantomeno al grande pubblico, che si tratta di due entità indipendenti e sovrane; anzi, se si deve ravvisare un rapporto di subordinazione, è dello Stato vaticano verso la Chiesa, mentre l’iniziativa presente, almeno di fatto, postula l’esatto contrario. Insomma, qui si vedono errori da matita blu che – sempre absit iniuria verbis – costerebbero la bocciatura a qualunque esamino, anche il più scalcinato, di diritto canonico o ecclesiastico.[1]

La riprova del mio asserto sta tutta nel fondamento legale addotto per giustificare l’azione giudiziaria davanti “al foro ecclesiastico competente”. Appunto: “ecclesiastico”! In altre parole: i diritti e doveri dei battezzati, infatti, vigono all’interno della Chiesa, per i fedeli di rito latino sono indicati ai cann. 208-223 del Codice di Diritto Canonico (CIC), e si fanno valere in foro ecclesiastico, ossia davanti ai Tribunali della Chiesa.

Invece, lo SCV, appunto perché è uno Stato, ha leggi proprie, propri organi di giustizia e, soprattutto, presupposti tutti suoi per stabilire chi possa o meno rivolgersi ad un suo Tribunale. Si tratta di criteri assai più ordinari e prosaici, come abitare nello Stato, essere cittadini vaticani o dipendenti della S. Sede, e così via; certamente non basta essere battezzati, né vantare un diritto che appartiene ad un altro ordinamento, quello della Chiesa, e dunque va fatto valere all’interno di questo.

Tutto ciò è ancora più vero in un caso come quello prospettato. Chi rivendica un diritto proprio del battezzato lo rivendica, in ultima analisi, proprio nei confronti dell’organizzazione “Chiesa” e vuole che quest’ultima sia costretta a prenderne atto; qui, si vorrebbe costringerla ad accettare che siano un potere pur sempre temporale[2] e una sentenza straniera – dico “straniera” perché, in sostanza, parliamo di due entità sovrane, come appena detto – a decidere chi sia il Papa!

Prevedo e prevengo due obiezioni: il Papa, in SCV, è il Capo dello Stato, quindi il problema della sua legittimità, pur nascendo altrove, rileva automaticamente, quasi per definizione, nell’ordinamento vaticano;[3] tanto più che di esso il diritto canonico fa parte integrante, anzi è “la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo” (art. 1 §1 della Legge sulle fonti del diritto). Verissime entrambe le cose; ma da ciò non segue che i Tribunali vaticani abbiano il potere di stabilire chi sia il Vicario di Cristo. Casomai la cosa non fosse chiara di per sé – e a mio avviso lo dovrebbe essere – consideriamo un piccolo esempio: il Principato di Andorra, per ragioni storico-feudali, ha due Capi di Stato, il Vescovo di Urgell in Spagna e il Presidente della Francia.

Possiamo seriamente ipotizzare che un Tribunale andorrano si arroghi il diritto di sindacare la bolla pontificia di nomina del Vescovo e pretendere che l’eventuale declaratoria di nullità vincoli nientemeno che la Chiesa? O magari voglia giudicare la legittimità delle elezioni francesi, affinché poi qualcuno possa imporre le conclusioni così raggiunte ai milioni di persone che abitano l’Esagono?

No davvero: nessuno di loro due è Vescovo o Presidente in quanto Capo dello Stato di Andorra, ma viceversa può dirsi “coreggente” del Principato solo perché e finché governa la Diocesi di Urgell oppure la Francia. Idem per il Papa: è l’elezione da parte dei Cardinali, una volta accettata, a conferirgli il doppio ufficio di Vescovo di Roma e Pastore della Chiesa universale; divenendo con ciò Romano Pontefice, egli diventa anche Capo dello SCV, ma non certo il contrario. Di conseguenza, è la Chiesa a dover dire allo SCV chi sia il suo Capo di Stato, non lo SCV a dire alla Chiesa chi sia il Papa!

È vero che in molte questioni, anzi ovunque non seguano una normativa diversa, i Tribunali vaticani debbono applicare il diritto canonico; ma applicano anche quello italiano, come p. es., pur con alcune eccezioni, il Codice Civile del 1942 (cfr. l’art. 4 della Legge sulle fonti del diritto; per altre leggi tricolori, v. art. 12), e non per questo acquisisce giurisdizione su questioni politiche dell’Italia. Ora, se c’è un principio fondamentale nell’ordinamento canonico, per quanto attiene ai rapporti con altre entità sovrane, è proprio che la Chiesa non si fa dettar legge da nessuno.

Neppure, anzi tantomeno, da uno Stato che esiste proprio al solo fine di assicurarNe l’indipendenza e, in questo senso, si può dire che abbia una sovranità limitata dallo scopo perseguito:[4]Lo Stato della Città del Vaticano assicura l’assoluta e visibile indipendenza della Santa Sede per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo e ne garantisce l’indiscutibile sovranità anche nel campo internazionale.” (art. 2 §1 della Legge fondamentale del 2023, che riprende il preambolo del Trattato del Laterano dell’11 febbraio 1929). Appunto per questo il §2 precisa che “Lo Stato e il suo ordinamento sono distinti dalla Curia Romana e dalle altre Istituzioni della Santa Sede.”…

Di conseguenza, l’esito che ci si può aspettare – al netto di possibili problemi ulteriori[5] – è un celere rigetto dell’istanza, ove si spiegherà che il giudice adìto non ha giurisdizione sull’atto che gli si vorrebbe far dichiarare invalido.

Forse se gli Autori se lo aspettano, in qualche misura, perché si scrive fin d’ora: “Se l’istanza venisse rigettata, sarebbe una aperta ammissione di colpevolezza da parte dello stesso Bergoglio e la drammatica prova che il potere giudiziario, in Vaticano, non sarebbe più indipendente dal potere legislativo.” (grassetti nell’originale).

E quando mai è esistita una simile indipendenza?! Anzi, quando mai lo SCV ha recepito il principio illuminista della divisione dei poteri?!

Tutte le Leggi fondamentali susseguitesi dal 1929 ad oggi affermano che il Papa è l’unico titolare dei tre poteri, che gli altri soggetti li esercitano per sua delega o concessione e, quanto al potere giudizio, che egli può decidere qualunque causa o assegnarla ai giudici che vuole, nonché eliminare il diritto di appello.[6]Indipendenza?! Ma scherziamo?!

Per rigettare l’istanza, comunque, non serve certo un’intromissione di Bergoglio; e qui concordo con lui, se essa ci fosse comincerei a pormi più di una domanda. Perché avere paura di un’iniziativa del genere è come lasciarsi spaventare da una pistola ad acqua!

Il lettore che avrà avuto la bontà di seguirmi fin qui si starà forse domandando, un tantino perplesso, se gli Autori abbiano capito cosa sia lo SCV, come funzioni, o perfino cosa implichi l’istanza presentata. Me lo domando anch’io, tanto più che, se si va in fondo all’articolo di lancio dell’iniziativa, si legge che, nel silenzio dei Cardinali di nomina “antebergogliana” (ut ita dicam), già sollecitati a compiere un simile riconoscimento di nullità, “per forza di cose, dopo sei mesi ci si è dovuti rivolgere al tribunale penale.”.

Attenzione: penale, il che presuppone che si stia denunciando un reato. Da parte di chi? Dei Cardinali che, in tesi, non agiscono? Di Bergoglio in quanto usurpatore? Non si sa. Mi chiedo se non sia una semplice svista, ma mi rimane comunque il dubbio. In SCV, la nullità di un atto sarebbe una questione civile e dovrebbe, quindi, passare da un ufficio diverso da quello che tratta gli affari penali; inoltre, la parte, comunque vi sia interessata, non può chiedere direttamente al Tribunale di pronunciasi circa l’esistenza di un reato, detto potere spetta solo al Promotore di Giustizia. E credo, ma su ciò dovrei controllare,[7] che questi possa archiviare senza neppure essere tenuto a dare comunicazione al denunciante. Staremo a vedere.

Infine, ma non da ultimo, vorrei far notare che la c.d. istanza non fa valere la tesi difesa da chi la promuove: l’autore principale notoriamente sostiene che la Declaratio sarebbe, in realtà, validissima, però andrebbe interpretata – non come la rinuncia che sembra, bensì – come una dichiarazione di “Sede impedita” (virgolette d’obbligo).

Invece, a detta di lui medesimo, l’istanza chiede che se ne decreti la nullità, determinata da errore sostanziale, e adduce tutta la ricostruzione pregressa solo a mo’ di condimento: fermo che, “ai fini del diritto, il motivo e l’intenzione per cui papa Benedetto ha offerto un’abdicazione invalida non ha alcuna rilevanza”, l’ultima parte dell’atto giudiziario fornisce comunque una spiegazione, cioè che “il papa tedesco non ha mai voluto abdicare, ha semplicemente dichiarato un’altra cosa e per un drammatico motivo emergenziale”.

Per cortesia, qualcuno spieghi a chi ha lanciato questa iniziativa – perché io dispero di riuscirci – che queste due posizioni sono contraddittorie!

L’errore sostanziale implica che Benedetto volesse effettivamente rinunciare, ossia smettere di essere il Papa tanto de iure quanto de facto, e che tuttavia si sia sbagliato, che non abbia capito la natura dell’ufficio papale o le implicazioni del proprio gesto, al punto di rendere invalida la rinuncia. Che però rinuncia era e tale si voleva che fosse. La “Sede impedita” funziona in maniera opposta, perché esige che Benedetto, al contrario, volesse restare Papa pur rinunciando, soltanto di fatto, all’esercizio attuale della carica per cause che potremmo chiamare di forza maggiore (a quanto pare, si è anche arrivati ad ipotizzare – ignoro su quali basi – un attentato con sonniferi nel 2012, in occasione della visita a Cuba).

Dovrebbe essere ben chiaro, quindi, che le due ipotesi non possono coesistere, ma spieghiamolo in un altro modo: nel primo caso, la distinzione munus/ministerium è impossibile, tanto da costituire proprio quell’errore sostanziale che invalida la rinuncia; nel secondo, tutto al contrario, la distinzione sarebbe un colpo di genio, la trovata fondamentale di un “piano anti-usurpazione” portato avanti almeno dal 1983, perché, oltre ad essere possibile, ha un oggetto ben preciso e fa – farebbe… – parte integrante del CIC.

Quando si scrive un pezzo che deve fare sensazione, le ipotesi contraddittorie non sono un problema, bensì una risorsa, perché, se assemblate con un minimo di attenzione, aumentano la risonanza del pezzo stesso. Quanto alle inchieste: anch’esse ammettono la coesistenza – provvisoria – di ipotesi diverse e incompatibili per spiegare gli eventi su cui si indaga.

Adesso, però, si portano le conclusioni di quell’inchiesta davanti ad un giudice, il che presupporrebbe appunto che l’inchiesta si sia conclusa e che sia arrivata ad individuare una e una sola tra le ipotesi prima considerate. Invece, si tratta dell’occasione che fa scoprire che gli Autori, oltre a non aver capito l’ABC del sistema giudiziario cui si sono rivolti, credono così poco alla bontà dei risultati che vanno strombazzando da lunga pezza, che vanno a chiedere una declaratoria di nullità e non di Sede impedita!

Se non basta questo perché la platea dei seguaci apra gli occhi sull’inconsistenza della tesi propugnata, non so davvero cosa potrebbe mai compiere un simile miracolo.

Genova, li 29 giugno 2024
SS. Apostoli Pietro e Paolo

[1] Un chiarimento forse superfluo: il diritto canonico è l’insieme delle leggi (e delle consuetudini) poste dalla Chiesa, mentre per “diritto ecclesiastico”, nell’articolazione delle materie che si insegnano a Giurisprudenza, si intendono le leggi dello Stato italiano che disciplinano il fenomeno religioso in genere, o i rapporti con le singole confessioni. La differenza tra S. Sede e SCV rileva in entrambi gli ambiti; e se ne potrebbe aggiungere ancora un terzo, il diritto internazionale pubblico, perché anche lì compaiono come due soggetti diversi,
[2] Perfino quando gli Imperatori medioevali pretendevano di deporre il Papa, come ad es. nel caso di Giovanni XII, perlomeno convocavano un Sinodo di Vescovi, per quanto fosse addomesticato, e da esso facevano pronunciare il provvedimento. Mi sembra che sia tutto dire!
[3] Si ha il vizio di chiamare “abdicazione” la rinuncia di Benedetto, forse per una malintesa analogia con il potere temporale o forse perché associa il termine corretto alle accuse di diserzione suscitate dal gesto, quindi il fatto che si sia parlato di “abdicazione” anche nel titolo dell’istanza ha un valore relativo, però si potrebbe indicare appunto che ci si sta riferendo a Benedetto in particolare come Capo dello Stato vaticano.
[4] È comune in dottrina il rilievo secondo cui la sovranità dell’organizzazione statuale implichi una piena libertà di questa nel darsi i fini che vuole, almeno all’atto della propria fondazione: si parla di “Stato-mezzo”, per indicare che esso è necessariamente strumentale ad attuare “una” politica, ma nello stesso tempo poco importa quale essa sia. Invece, lo SCV è uno “Stato-fine”, che nasce fin dall’inizio con uno scopo ben preciso ed è stato strutturato in modo tale di fargli compiere tutto, ma anche solo, quel che è necessario per conseguirlo.
[5] Ad es., l’avvocato avrà l’abilitazione a patrocinare in foro vaticano? Perché ne serve una ad hoc, non basta essere avvocati in Italia e nemmeno avvocati rotali.
[6] Legge fondamentale del 1929, artt. 1 e 17: “Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.”; “In qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima il Sommo Pontefice può deferire la istruttoria e la decisione ad una commissione speciale, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore rimedio.”. Legge fondamentale del 2000, artt. 1 §1 e 16: “Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.”; “In qualunque causa civile o penale ed in qualsiasi stadio della medesima, il Sommo Pontefice può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare istanza, anche con facoltà di pronunciare secondo equità e con esclusione di qualsiasi ulteriore gravame.”. L.f. 2023, cit., artt. 1 e 21 §2: “Il Sommo Pontefice, Sovrano dello Stato della Città del Vaticano, ha la pienezza della potestà di governo, che comprende il potere legislativo, esecutivo e giudiziario.”; “ Il Sommo Pontefice, in qualunque causa civile o penale e in qualsiasi stato della medesima, può deferirne l’istruttoria e la decisione ad una particolare istanza con esclusione di ogni altro gravame.”.
[7] Il Codice di Procedura Penale vigente in Vaticano è quello italiano del 1913, c.d. “Finocchiaro Aprile” dal nome del Guardasigilli; ne ho una copia, ma non con l’indice analitico che servirebbe per una consultazione rapida.
Immagine in evidenza rielaborata a scopo illustrativo da fonte citata.
Brigate Rozze
i migliori alleati di bergoglio sono proprio quegli sveglioni che lo legittimano di continuo 😂
Mario Sedevacantista Colucci condivide questo
1
Grazie!
Radio Spada condivide questo
133
Grazie!