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LE STIGMATE DI PADRE PIO: C’È CHI CERCA DI RIABILITARE PADRE GEMELLI

Cosa può spingere un quotidiano cattolico come l’Avvenire, che non è nuovo alla pubblicazione di notizie inesatte sul Santo Pietrelcina? Un reiterato tentativo, da parte di qualcuno, tendente a cambiare nuovamente le carte in tavola, allo scopo di spianare la strada a una futura beatificazione di Gemelli?

Donato Calabrese


“Ce risemo!”. Ancora una volta, viene tirato in ballo padre Gemelli. La questione è quella che, almeno per ora, ha impedito all’illustre medico francescano di essere candidato agli onori degli altari: la sua falsa testimonianza su una visita fatta a Padre Pio, con un esame delle stigmate, logicamente tendente a negarne la soprannaturalità.
Cosa può spingere un quotidiano cattolico come l’Avvenire, che non è nuovo alla pubblicazione di notizie inesatte sul Santo Pietrelcina[2]? Un reiterato tentativo, da parte di qualcuno, tendente a cambiare nuovamente le carte in tavola, allo scopo di spianare la strada a una futura beatificazione di Gemelli?
Lo stesso fondatore dell’Università Cattolica e, quindi, del Policlinico che porta il suo nome, viene tirato in ballo periodicamente, nella speranza di incontrare un terreno più fertile e meno irto di difficoltà per tentare di recuperarne la credibilità.
L’Avvenire, come al solito, ci è cascato, così come ci cascò qualche anno fa, quando pubblicò una foto del nipote di Padre Pio, presentandola come la sua foto giovanile. In quell’occasione scrissi al quotidiano, dicendo che avevano preso un cantonata, e precisando che il giovanetto nella foto non era Padre Pio, ma il nipote Franceschino, prematuramente scomparso negli anni della sua adolescenza.

Ma veniamo al dunque. Nel numero del 26 agosto, l’Avvenire ha pubblicato un articolo di Flavio Peloso, presentandolo con questo titolo: Lo studio. Padre Gemelli non disse il falso: vide davvero le stimmate di padre Pio.

Se avete notato, il titolo è presentato dalla parola Lo Studio, e quindi appare destinata ad enfatizzare l’importanza del titolo, e, quindi, del relativo contenuto.

Scrive Peloso: “Possibile che un sacerdote e uno scienziato di quel valore abbia detto platealmente il falso? Eppure le testimonianze della visita del 19 aprile 1920 di padre Gemelli a padre Pio documentano concordemente essere avvenuto un colloquio brevissimo tra i due e senza visione delle stimmate”.
Possibilissimo, rispondo io. Evidentemente il Peloso, non riesce a entrare profondamente nei meandri della psiche umana. E allora, voglio cercare di aiutarlo, dicendo che quando comincia a interessarsi di Padre Pio da Pietrelcina, padre Agostino Gemelli è una delle figure più eminenti della cultura italiana e della stessa Chiesa Cattolica. Nato in un ambiente anticlericale e socialista militante, da medico e chirurgo di fama si è convertito al cattolicesimo, entrando a far parte dei frati minori francescani. Ha poi fondato l’Università cattolica Sacro Cuore di Milano, venendo in contatto con mons. Achille Ratti, il futuro Papa Pio XI, divenendone amico. È possibile che un uomo dalla personalità straripante, come Gemelli, possa dichiarare il falso. L’orgoglio, molte volte, ci fa pensare e dire cose che cozzano contro la realtà delle cose. Tra l’altro, per la sua specializzazione in neuropsicologia, Gemelli si interessa di Padre Pio e delle sue stigmate[3], scrivendo una lettera al Ministro provinciale dei Cappuccini di Foggia, padre Pietro di Ischitella, onde ottenere l’autorizzazione ad esaminare le misteriose lesioni del Frate di Pietrelcina. Ma questi è già stato visitato dai medici Romanelli, Bignami e Festa, e non ci sono motivi per una nuova visita, considerato anche quanta sofferenza abbiano provato a causa dei meticolosi esami medici.
Il Superiore provinciale non ha concesso l’autorizzazione, rifiutando la richiesta del Gemelli, e supponendo la possibilità di un’eventuale visita solo nel caso in cui lui sia in possesso di autorizzazione delle autorità ecclesiastiche.
A questo punto riporto, dal quotidiano L’Avvenire, quanto scrive il Pelosi sulla visita di Gemelli, riservandomi, subito dopo, di rispondere:
“E qui si colloca la novità ora emersa. Come risulta dal carteggio con il Sant’Uffizio, padre Agostino Gemelli visitò due volte San Giovanni Rotondo e padre Pio. La prima volta fu «Nel 1919, essendo di passaggio, per ragioni di servizio militare, a Foggia». «Mi recai a S. Giovanni Rotondo – scrive il francescano – accompagnato dal segretario dell’allora Vescovo di Foggia. Questi mi espresse il desiderio che io esaminassi il P. Pio e poscia gli riferissi il risultato delle mie osservazioni”. Sembra strano che il vescovo di Foggia chieda al Gemelli di visitare Padre Pio, quando lo stesso appartiene a un’altra Diocesi, quella di Manfredonia. Sarebbe una grave mancanza di rispetto, del vescovo di Foggia verso quello di Manfredonia. Tanto più grave perché allora entrambe le Diocesi appartenevano alla Regione metropolitana di Benevento, retta dal vescovo di Benevento.
Ma proseguiamo con l’esame di quanto scrive il Pelosi sulle pagine dell’Avvenire del 28 agosto scorso: “Il mio viaggio poteva essere utile. Ritenni mio dovere di accettare (l’invito del vescovo di Foggia, sic!) e mi recai e mi trattenni due giorni a S. Giovanni Rotondo, ospite del Convento dei Cappuccini. Ebbi modo di vedere più volte il P. Pio e di conversare assai a lungo con lui. Esaminai anche le piaghe del P. Pio». Si presentò come medico e così «io continuai sino in fondo la commedia del medico convinto e convertito per avere agio di osservare, vedere, constatare. Di tutto questo riferii a Mgr. Vescovo di Foggia»”.
A questo punto io domando: può un vescovo rivolgersi a un medico e chiedergli di esaminare le stigmate di un Frate cappuccino di un’altra Diocesi, visto che entrambe, Foggia e Manfredonia, erano, allora, diocesi suffraganee legate alla sede metropolitana di Benevento?
Evidentemente, Gemelli non era perfettamente a conoscenza dell’organizzazione delle Chiese di Foggia e Manfredonia, ignorando che le stesse facessero parte della regione ecclesiastica Beneventana.
Flavio Peloso chiude l’articolo in questo modo: “Per questo gli amici e biografi di Padre Pio da Pietrelcina poterono continuare ad affermare che Gemelli aveva detto il falso, perché non vide le stimmate nella visita del 19 aprile 1920; e dicevano il vero. Mentre Padre Gemelli continuò ad affermare: «Io ho visitato le stimmate di Padre Pio» perché questo avvenne nella precedente visita del 1919; e diceva a sua volta la verità”.
Pensando e ripensando a quest’affermazione mi torna in mente il celebre detto di Pilato: “Che cos’è la verità”(Gv 18,38).
C’è innanzitutto la testimonianza autorevole di padre Benedetto da San Marco in Lamis, sulla scorta della quale è assolutamente certo che il Gemelli non ha potuto osservare in alcun modo, neppure da lontano, le stigmate di Padre Pio. Padre Benedetto, direttore spirituale di Padre Pio nonché ex Ministro provinciale dei Cappuccini, è stato presente all’incontro, insieme con Emanuele Brunatto. Riportando, allora, la sua testimonianza, padre Benedetto scrive a padre Luigi d’Avellino, dichiarando: L’abboccamento (tra Padre Pio e Gemelli) «avvenne in sacrestia. Durò pochi minuti. Ero in un angolo lontano ed ebbi l’impressione che il Padre Pio lo licenziasse come seccato. Ecco tutto”[4].
Interdetto di fronte a una risposta che, sicuramente, non si attendeva, Gemelli lo vede allontanarsi, ma fa appena in tempo a esclamare: “Bene, Padre Pio, ne riparleremo”[5]. Dopo qualche ora l’illustre medico francescano lascia definitivamente San Giovanni Rotondo.
Eppure, dopo un po’ di tempo, giunge al Sant’Ufficio una “terribile”[6] relazione, nella quale Gemelli presenta un rapporto dettagliato della sua visita a Padre Pio, con un esame delle stigmate, che in realtà non è mai avvenuto.
In seguito, attaccato dalla stampa[7], il Gemelli cercherà di… salvarsi[8]. Il brutto è che in questa lettera, il Gemelli scrive categoricamente al Martindale: “Io ho esaminato accuratamente padre Pio e le sue stimmate. Durante questo esame era presente il padre provinciale[9].
A questo punto voglio riportare quanto scritto nella biografia di padre Fernando da Riese Pio X: “Documentato che a S. Giovanni Rotondo il Gemelli salì una sola volta e documentato il modo con cui si svolse l’incontro, non si riescono a capire tante sue affermazioni. In un inedito, il dott. Giorgio Festa scrive che il Gemelli si sarebbe «avventurato ad esprimere un giudizio a priori, senza avere affatto una nozione della natura e delle condizioni anatomo-patologiche con le quali si presentavano… le piaghe del Padre Pio, e senza aver avuto agio di eseguire su di lui neppure le ricerche psicologiche più elementari»[10] ”. Il Gemelli – ribadisce il Festa - «ha invece giudicato del padre Pio non secondo scienza, ma solo secondo la propria immaginazione; senza aver affatto esaminato le sue piaghe, e senza neppure aver avuto con lui quella conversazione iniziale che è elemento indispensabile a raccogliere dati positivi per un qualsiasi giudizio psicologico»”[11].
E allora, nel tentativo di mettere in piazza, ancora una volta, la verità pura e santa di un Frate martire di Cristo e della Chiesa, riporto ciò che hanno detto medici e clinici illustri, in riguardo alle stigmate di Padre Pio. Riporto dal mio volume Padre Pio, Io sono un mistero a me stesso: “Dopo la visita effettuata a maggio dal dott. Romanelli di Barletta, il 26 luglio 1919 giunge a San Giovanni Rotondo il prof. Amico Bignami, ordinario di patologia medica all’Università di Roma. Inviato dal Vaticano, resta sul Gargano per circa una settimana, eseguendo un esame abbastanza approfondito delle piaghe del Frate di Pietrelcina. Anche in seguito ad altri esami successivi, Bignami “dichiara «almeno in parte, attendibile» l’ipotesi che le alterazioni riscontrate nelle mani siano «la manifestazione di uno stato morboso», riducendole a «risultato di una necrosi superficiale dell’epidermide e forse delle parti più esterne del derma», riavvicinabili quindi alle necrosi neurotiche. La lesione del torace sarebbe «il risultato di una abrasione dell’epidermide»”[12]. Infine, lo studioso conclude affermando che “Nulla vi è nelle alterazioni della cute descritte che non possa essere il prodotto di uno stato morboso e dell’adozione di agenti chimici noti”[13].
La conclusione del Bignami non trova d’accordo il dott. Romanelli, specialmente per quanto riguarda la tesi sull’uso della tintura di iodio da parte di Padre Pio. Essendo un potente caustico, essa “non permetterebbe ai tessuti causticati di dare sangue e sangue rutilante, e ancora insistendo sulla insostenibilità dell’origine nervosa delle ferite, perché, una volta prodotte, dovrebbero seguire il corso di qualunque altra lesione, cioè o guarire o suppurare”[14].
Pur sottoposto a scrupolose cure, prescritte dal Bignami, Padre Pio non guarisce né ora né in seguito, da queste misteriose ferite. Esse scompariranno solo prima della sua morte, lasciando l’epidermide nivea e pulita, come se non avesse mai avuto tali lesioni. Non solo, ma le stesse non produrranno mai complicazioni o suppurazioni nel lungo itinerario esistenziale del Frate di Pietrelcina. Questa è la verità.
A ulteriore dimostrazione dell’inconsistenza della tesi di Bignami, c’è il suo tentativo andato a vuoto di favorire la rimarginazione delle ferite, perché dell’idea che Padre Pio impedisse o tardasse la cicatrizzazione. Di fatto, secondo la testimonianza di padre Paolino da Casacalenda, “Bignami «ordinò di fasciare e suggellare le ferite alla presenza di due testimoni e di controllare i suggelli delle stesse alla presenza degli stessi testimoni, per otto giorni affinché si potesse avere la certezza che le ferite non erano state affatto toccate, molto meno curate. Dopo otto giorni bisognava fare una coscienziosa relazione per dire se le ferite si erano rimarginate oppure no...»”[15]. È evidente che Bignami può aver pensato che fossero bastate queste semplici precauzioni per far rimarginare le lesioni. Ma è ancora più palese il risultato finale di tali cautele: l’ottavo giorno, dopo aver controllato i sigilli e tolte le fasciature, si scopre con inatteso stupore che le ferite sono sempre lì: vive, vere, e sanguinanti. Anzi, nel tempo successivo alla rimozione dei sigilli e delle fasciature, mentre Padre Pio celebra la Santa Messa, cola tanto sangue dalle mani traforate che i confratelli sono costretti a fargli recapitare dei fazzoletti, per tamponare questa continua perdita di sangue vivo[16]. Tutto ciò conferma l’infondatezza delle tesi sostenute dal dottor Bignami.
Alla visita del patologo segue quella del dott. Giorgio Festa, medico curante della Casa generalizia dei Cappuccini, il quale su invito del Superiore generale dei Cappuccini padre Venanzio da Lisle-en-Rigault, parte per San Giovanni Rotondo l’8 ottobre 1919.
Giunto sul Gargano la sera del giorno 9, Festa sale subito al Convento cappuccino con l’intento di effettuare una prima visita a Padre Pio. Il giorno dopo compie un altro esame meticoloso delle piaghe. Resta ancora tre giorni a San Giovanni Rotondo, e quindi si mette in viaggio per Roma, dove prepara un corposo rapporto che terminerà il 28 ottobre, consegnandolo, poi, al Ministro generale dei frati cappuccini.
Completato il rapporto medico sull’esame delle piaghe, il dott. Festa si fa premura di farlo pervenire alla Curia generale dei Cappuccini. Si tratta di una relazione dattiloscritta così titolata: Padre Pio da Pietrelcina. Impressioni e deduzioni scientifiche.
Dopo aver considerato minuziosamente le ferite alle mani e ai piedi, il dottore pone in evidenza che: “La pressione diretta su tutte le lesioni, tanto delle mani che dei piedi, per quanto dolcemente esercitata, riesce dolorosissima... Più intense ancora, per quanto egli si studi di nasconderle, sono le sofferenze che gli procurano, nel camminare, le lesioni dei piedi: di qui la difficoltà di rimanere per lungo tempo in stazione eretta, di qui la sua andatura lenta e talora incerta”[17].
è molto interessante il risultato dell’esame del costato: “Nella regione anteriore del torace sinistro, circa di due dita trasverse al di sotto della papilla mammaria, presenta un’ultima e più interessante lesione, in forma di croce capovolta. L’asta longitudinale di questa, misura all’incirca sette centimetri di lunghezza, parte dalla linea ascellare anteriore a livello del quinto spazio intercostale, e discende obliquamente fin verso il bordo cartilagineo delle costole, solcando la cute... L’asta trasversale della croce è lunga circa quattro centimetri, interseca non ad angolo retto, ma in modo obliquo, e pressappoco a cinque centimetri dal suo punto di partenza l’asta longitudinale e si presenta più espansa e rotondeggiante alla sua estremità inferiore”[18].
Concludendo le osservazioni, Festa aggiunge che le lesioni “non sono il prodotto di un traumatismo di origine esterna, e... neppure sono dovute all’applicazione di sostanze chimiche potentemente irritanti”[19]. In questa dichiarazione c’è un vago riferimento alle ipotesi inconsistenti, formulate in precedenza dal dott. Bignami. Ma c’è anche qualcosa di molto importante che il dottor Festa ci tiene a precisare: “A differenza di qualsiasi altra lesione, riscontrabile nel corpo umano, quelle che appaiono sul corpo di Padre Pio hanno contorni nettissimi, nessun accenno di reazione offrono i tessuti che le circondano e non presentano nessuna tendenza a cicatrizzare, neppure dopo tanto tempo che sono comparse, e nonostante la loro breve estensione e la loro limitata profondità”[20].
Il dottor Festa conclude il suo studio affermando che “Le lesioni e l’emorragia, riscontrate in Padre Pio hanno un’origine che le nostre cognizioni sono ben lungi dallo spiegare. Ben più alta della scienza umana è la ragione del loro essere”[21].
Contrariamente a Bignami che ha voluto spiegare in maniera positivistica le misteriose lesioni di Padre Pio, Festa ha avuto il merito di arrestarsi davanti al mistero, riconoscendo l’impossibilità della scienza medica nel decifrare e spiegare l’origine di tali ferite. In seguito ne gusterà anche l’ineffabile profumo, mistico effetto di quelle arcane lesioni che appaiono come una raffigurazione viva della santità nascosta del Frate di Pietrelcina.
Le stigmate scompariranno gradualmente dal corpo di Padre Pio verso la fine della sua esistenza terrena, senza lasciare alcun segno o traccia visibile nelle sue membra e nel cuore traforato per oltre cinquant’anni, laddove per oltre 50 anni c’erano ferite sanguinanti.
Infatti, Nei mesi di luglio e agosto del 1968, le stigmate localizzate sul dorso delle mani scompaiono, mentre restano aperte quelle sui palmi delle mani. Il 23 settembre 1968 Padre Pio conclude la sua esistenza terrena. Dieci minuti dopo la morte il confratello, padre Giacomo Piccirillo scatta alcune fotografie della salma, in particolare al costato, alle mani e ai piedi: tutte le stimate sono scomparse, senza lasciare alcun segno di cicatrizzazione[22].
Il fenomeno della scomparsa delle stimmate, che fu verosimilmente progressivo, resta un enigma a livello scientifico. Su questo punto sembrano concordi i medici che lo hanno studiato.
Secondo Pietro Valli, ordinario di medicina legale e delle assicurazioni all’Università di Parma, «trattandosi di lesioni cutanee che a lungo avevano sanguinato, quale conseguenza di un interessamento per lo meno della parte superiore dello strato dermico e che si erano protratte per decenni in fase acuta o con plurime riacutizzazioni, la legge di natura presupponeva la formazione di una cicatrice, di una serie di cicatrici”.
Il fatto che le stigmate profonde e sanguinanti per cinquant’anni, scompaiano poco prima della sua morte senza lasciare nessuna cicatrice, è del tutto inspiegabile dal punto di vista scientifico[23], così attesta il dott. Marianeschi, confermando a distanza di decenni le medesime conclusioni a cui era giunto il dott. Giorgio Festa.
Tutto questo non fa che confermare che le stigmate presenti sul corpo di Padre Pio da Pietrelcina appartengono al Cristo Crocifisso, e sono, quindi, un Dono del cielo.
La trasverberazione e le stigmate appaiono il degno Dono mistico di Cristo al Santo che ha voluto essere in tutto e per tutto come un Alter Christus: un altro Cristo.
Al di là di quanto affermato da più parti in riguardo alla spiegazione teologica della scomparsa delle stigmate, io credo che facendo scomparire le stigmate dal suo corpo prima di morire, Dio ha voluto dirci che Padre Pio aveva ormai completato la sua missione oblativa, il suo Consummatus es, ed era già entrato nella dimensione di Risorto. Ma con lo stesso evento prodigioso, ancora una volta Dio ha voluto implicitamente autenticare la stigmatizzazione di Padre Pio, dimostrando che solo Lui ha stigmatizzato il Frate di Pietrelcina.
Quindi le stigmate di Padre Pio sono il Segno visibile ed emblematico della Passione di Cristo Crocifisso, manifestata in pienezza nel suo corpo e nel suo spirito. Con esse, Padre Pio ha dimostrato di essere la vittima perfetta per Cristo, con Cristo e in Cristo.

[1] Lettera di padre Benedetto da San Marco in Lamis a padre Luigi d’Avellino, 16 luglio 1932, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 161.
[2] Come la foto del nipote Franceschino, morto in tenera età, e contrabbandata come la foto giovanile di Padre Pio. Scrissi personalmente alla Redazione, dicendo che quello non era Padre Pio, ma il nipote Franceschino.
[3] All’inizio dell’anno 1920, N.d.A..
[4] Lettera di padre Benedetto da San Marco in Lamis a padre Luigi d’Avellino, 16 luglio 1932, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 161.
[5] Testimonianza pubblicata, con altre che la confermano, in G. Pagnossin, Il Calvario di Padre Pio, t. I, pp. 203 ss. in Yves Chiron, Padre Pio, una strada di misericordia, Ed. Paoline Milano, 1997, 152.
[6] Cfr. Yves Chiron, Padre Pio, una strada di misericordia, Ed. Paoline Milano, 1997, 153.
[7] MARTINDALE C.C. , Padre Pio da Pietrelcina, in the Month, vol VII, 1952, n. 6, pp.348-357 (particolarmente le pagine 352 s..)
[8] Lettera di padre Agostino Gemelli a padre Martindale C.C. Milano 20 giugno 1952, Cf. copia in APP, sez X, cart 9, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 161.

[9] Lettera di padre Agostino Gemelli a padre Martindale C.C. Milano 17 luglio 1952, Cf. copia in APP, sez X, cart 9, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 161s..
[10] G.Festa, Erroneità della tesi sostenuta dal padre Gemelli, in Per amore di verità…, ms. c.., (ff. 19-28e) f. 20, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 162.
[11] Id., f 22, in, Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 162.
[12] G. Festa, o. c., p. 278, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 135.
[13] idem, 136.
[14] Idem.
[15] Paolino da Casacalenda, o. c., p. 174, in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 136s.
[16] Cfr. Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo, 1996, 137.
[17] Giorgio Festa, Prima relazione, dattil. c., in Fernando Da Riese Pio X, Padre Pio da Pietrelcina, Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, San Giovanni Rotondo 1996, 139.
[18] Idem, 139s.
[19] Idem, 140
[20] idem, 141.
[21] idem.

[22] Le fotografie scattate alla salma di Padre Pio sono riprodotte in Le stigmate di Padre Pio da Pietrelcina. Testimonianze e relazioni, op. cit.
[23] P.M. Marianeschi, Stimmate, in Dizionario dei fenomeni mistici, a cura di Luigi Borriello e Raffaele Di Muro, Editrice àncora Milano, 2014, 132.
N.S.dellaGuardia
Dopo tanti anni ancora ci provano: non bastava la chiesa massonica a San Giovanni Rotondo, devono proprio cercare in tutti i modi di fermare l'azione di intercessione di San Padre Pio, che tanto li spaventa.
Ed ora che hanno occupato (da decenni, in realtà) anche le testate che "una volta" erano cattoliche, pensano di avere di colpo autorità in materia (e c'è ancora chi gliela dà, vedi citazioni …Altro
Dopo tanti anni ancora ci provano: non bastava la chiesa massonica a San Giovanni Rotondo, devono proprio cercare in tutti i modi di fermare l'azione di intercessione di San Padre Pio, che tanto li spaventa.
Ed ora che hanno occupato (da decenni, in realtà) anche le testate che "una volta" erano cattoliche, pensano di avere di colpo autorità in materia (e c'è ancora chi gliela dà, vedi citazioni di fanghiglia tristi-ana).
Il loro padrone ha fretta...