Momento di pazzia totale! Cosa fare? Ce lo dice Guareschi
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Amici lettori, mentre andavo riflettendo sulle criticità del momento presente, nei giorni scorsi mi è tornato alla mente un dialogo tra don Camillo ed il vero protagonista dei racconti di Giovannino Guareschi cioè il Cristo crocifisso (“Don Camillo e don Chichì”, in Tutto don Camillo. Mondo piccolo, II, BUR, Milano 2008, pp. 3114-3115).
Spalancando le braccia, don Camillo Gli pone questa domanda: «Signore, cos’è questo vento di pazzia?». E poi ripropone ciò che oggi molti si chiedono: «Non è forse che il cerchio sta per chiudersi e il mondo corre verso la sua rapida autodistruzione?». Cos’è questo vento di pazzia? La stessa parola – pazzia appunto – che utilizzò il grande G. K. Chesterton a proposito degli spropositi indotti dalla cultura sedicente moderna.
Non può di certo sfuggire la pregnanza di questa domanda, così candidamente e veracemente formulata. È la questione che, di fatto, emerge da tutti gli animi ancora liberi e dalle menti ancora lucide che si confrontano con gli avvenimenti del momento.
In effetti, oggi siamo invasi da molte pazzie, come le definirebbe un qualsiasi impiegato di Milano o un comune operaio di Genova o una simpatica vecchietta di Napoli (peccato che non abbiano voce in capitolo…). C’è uno “strano vento” – diremmo così – che fa girare le cose in modo così insolito e stravagante.
Non vuole, questo articolo, essere un’analisi più o meno approfondita di tali stravaganze. No. Direi che gli animi liberi e le menti lucide a cui sono dirette queste poche righe sono già capaci da sole di vederle e abominarle. Piuttosto, lo scopo di questo articolo, è quello di offrire una logica, una indicazione programmatica per leggere dentro l’apparente non senso del momento attuale. E, con la lettura, trovare anche un itinerario fondamentale, una missione da suggerire in mezzo allo sfacelo.
Molti dicono che contro questa “pazzia” non c’è più nulla da fare e che, pertanto, occorra rassegnarsi. Ma il credente con la tempra del soldato di Cristo non è soddisfatto di questa conclusione; si ribella, anzi, a questo spirito di rassegnazione e cerca di testimoniare quel senso che attinge alle certezze di verità eterna offerte dalla fede che non muta e mai sbiadisce.
In questa ricerca di senso ci viene in aiuto lo stesso Guareschi che, nella seconda parte del dialogo (riferito all’inizio), propone la giusta soluzione in questa situazione, appunto, “pazzesca”. Don Camillo, insistendo nella sua posizione “pessimistica”, confida al Signore: «Oggi la gente crede soltanto in ciò che vede e tocca. Ma esistono cose essenziali che non si vedono e non si toccano: amore, bontà, pietà, onestà, pudore, speranza. E fede. Cose senza le quali non si può vivere. Questa è l’autodistruzione di cui parlavo. L’uomo, mi pare, sta distruggendo tutto il suo patrimonio spirituale. L’unica vera ricchezza che in migliaia di secoli aveva accumulato. Un giorno non lontano si troverà come il bruto delle caverne. Le caverne saranno alti grattacieli pieni di macchine meravigliose, ma lo spirito dell’uomo sarà quello del bruto delle caverne […] Signore, se è questo ciò che accadrà, cosa possiamo fare noi?».
E Cristo, con il sorriso di chi sa che comunque le tenebre non prevarranno, risponde (a tutti noi, non solo al buon prete di campagna…) che dobbiamo fare «ciò che fa il contadino quando il fiume travolge gli argini e invade i campi: bisogna salvare il seme. Quando il fiume sarà rientrato nel suo alveo, la terra riemergerà e il sole l’asciugherà. Se il contadino avrà salvato il seme, potrà gettarlo sulla terra resa ancor più fertile dal limo del fiume, e il seme fruttificherà, e le spighe turgide e dorate daranno agli uomini pane, vita e speranza. Bisogna salvare il seme: la fede. Don Camillo, bisogna aiutare chi possiede ancora la fede e mantenerla intatta. Il deserto spirituale si estende ogni giorno di più, ogni giorno nuove anime inaridiscono perché abbandonate dalla fede. Ogni giorno di più uomini di molte parole e nessuna fede distruggono il patrimonio spirituale e la fede degli altri».
Mi pare che queste parole che Guareschi pone sulle labbra del Crocifisso, così vere e commoventi, illuminino il cammino accidentato di tutti noi e indichino una vera e propria vocazione, comune a tutti, indipendentemente dagli stati vita e dalle concrete circostanze e contingenze. Tutti, sebbene in modi diversi, dobbiamo sentirci chiamati e rispondervi.
Ogni uomo e donna di fede, oggi, ha una grande missione. Il meglio delle sue energie dovrebbe essere impiegato per “salvare il seme” della fede, della verità, dei valori, delle istituzioni che procedono dalla Legge di natura (come la famiglia, oggi terribilmente sotto attacco). Si tratta di fare tutto il possibile per conservarle e metterle al riparo, resistendo al vento tempestoso delle follie delle ideologie del momento che provano ad imporsi con violenza inaudita.
È un compito prezioso che richiama ad una grande responsabilità: troppo spesso ci si lascia sopraffare da una sconfortata indifferenza. E invece dovremmo, tutti, aiutarci a mantenere la fede – e ancor prima a conservare sana la nostra mente –, prestando attenzione a non lasciarci intorpidire da una certa “ignavia mascherata” che si nasconde dietro il perseguimento di un vuoto spiritualismo, inattivo, fatalista, impreparato e forse disinteressato a fronteggiare gli immensi pericoli e inganni dai quali siamo circondati.
Non si tratta di impegnarsi in imprese straordinarie per riportare le deviazioni senza numero nella giusta direzione. Non è nelle nostre possibilità. Non è ciò che il Cielo ci chiama a operare. È, piuttosto, un lavoro di custodia, di protezione, di salvaguardia quello che va fatto. E non si tratta neppure, a questo scopo, di coinvolgere grandi realtà ecclesiali o istituzioni politiche e civili imponenti. Sono i piccoli nuclei familiari, i piccoli gruppi e comunità consacrate, le microscopiche ma vive realtà suscitate dallo Spirito Santo a doversi sentire personalmente interpellate. Ciascuna di queste, motivata e agguerrita nel combattere questa sacrosanta battaglia sappia che, mentre effonde lacrime e sudore, lo fa con tanti altri piccoli nuclei umani e spirituali vivi, tutti accomunati da una medesima vocazione e missione.
Il contadino di Guareschi dimostra coraggio quando salva il seme, rischiando la vita e le proprie sostanze di fronte alle alluvioni. E non gli manca, al contempo, uno sguardo sapiente proiettato nel futuro, sapendo che il triste tempo presente, prima o poi, avrà fine. Dovrà necessariamente aver fine. Diceva il Venerabile Mons. Fulton John Sheen: “Il male ha la sua ora ma Dio ha il suo giorno”. E così salvare la fede e le realtà che da essa scaturiscono comporta la stessa fatica – anzi ben maggiore – di quella del buon contadino; una fatica che i veri cristiani oggi, senza eccezioni, sperimentano, aiutandosi reciprocamente perché il Signore Gesù li ha uniti in questa comune vocazione e missione che affratella e lega spiritualmente.
Non dobbiamo avere vergogna di vivere, condividere e proteggere la fede. Il buon Dio illumini le menti per convincerci di questo, ispiri le azioni concrete da mettere in atto e irrobustisca le volontà in modo da trovare il coraggio di agire in modo coerente con la verità, ricordando che chi è dalla sua parte anche se sembra in condizioni esterne di debolezza, minoranza, ecc, in realtà è forte perché, come diceva il grande Sant’Agostino: “La verità è come un leone. Non avrai bisogno di difenderla. Lasciala libera. Si difenderà da sola”.
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Per approfondire, questo bell'articolo di Aldo Valli, non recente ma sempre valido e vero nei contenuti e nei principi di fondo: aldomariavalli.it/…018/07/19/salvare-il-seme-la-lezione-di-guareschi/
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